# fenomenologia del pirla #[Moreno, una…
# fenomenologia del pirla #
Un anno fa arbitrava da par suo un quarto di finale del mondiale nippo-coreano. E subito diventava famoso come affossatore della patria pallonara. Ed essendo il calcio uno dei due valori eminentemente bipartisan del nostro meraviglioso popolo egli riusciva a catturare sulla testa imbrillantinata ogni sorta di ingiurie e maledizioni per una quota all’incirca doppia di quella massima raggiunta dal nostro premier. Poi, tornato in patria, si distingueva ulteriormente sul campo di gioco nella sua diabolica vocazione a scontentare capre e cavoli, quindi perdeva le elezioni politiche della sua città, la cui squadra aveva invano tentato di favorire con qualcosa come 15-20 minuti di recupero, trovandosi essa in difficoltà. Indi rientrava in Italia per un’ospitata assai ben lucrata sulla tv di stato in un programma insignificante con nani e ballerine in cui esprimeva la sua faccia tonda e quel suo cipiglio orgogliosamente indio-idiota. Infine, proprio l’altro giorno, arbitrava per una cifra infima, una specie di sfida scapoli-ammogliati in un paesino romagnolo. Presentatosi genialmente nella patria della Ferrari con un cappellino griffato Williams, il nostro uomo si beccava impavido gli insulti dei circa quattromila presenti, quindi un lancio di uova e ortaggi e infine un inseguimento con annesso tentativo di pestaggio. Protetto da un efficiente servizio d’ordine, il cui costo spaziale era evidentemente algebricamente connesso al suo cachet pezzente, usciva per ora dalle cronache per tornare in clandestinità.
Fermiamolo. Mettiamolo sotto tutela. Qualcuno lo sottragga al suo agente, se ne ha uno. Qualcuno gli faccia leggere Pennac o gli spieghi a voce che fare il capo espriatorio ha senso solo se hai una famiglia numerosa e se ti pagano bene. E che per farlo di un’intera nazione allora il prezzo sale ancora.