utile ricicloLa 500 azzurraUn mese fa…
utile riciclo
La 500 azzurra
Un mese fa scrissi:
“Caro Giudizio Universale, visto che chiedi recensioni della Fiat 500, ti mando questo pizzino.
…
Mumble.
…
Però sai cosa ti dico? Che non è nemmeno lontanamente una recensione questa qua che mi è uscita. Concordi? Già.
Quindi sai che fo? Io te lo mando comunque. Ma siccome qui non si butta nulla, il mese prossimo lo metto sul blog.
Grazie, saluti.”
Ecco, appunto, sul blog.
La 500 azzurra era una meraviglia. Era estate, si partiva per il mare e nulla poteva andar meglio.
Era la metà degli ani ’70 e quella 500 aveva già il doppio dei miei anni. Doveva essere del ’62. Non conoscevo niente che fosse del ’62. Solo un disco dei Beatles di mio zio era del ‘62.
La 500 era bella perché era diversa da tutte le macchine che conoscevo. Aveva le portiere che si aprivano al contrario e delle specie di mezzepinze come maniglie. Per accendere il motore non bastava girare la chiave, no. C’era una piccola levetta da tirare vicino al cambio. Una levetta. A me ricordava la a manovella delle macchine delle comiche. Poi aveva il clacson che faceva poot in mezzo al volante e il cruscotto di metallo con i numeri grandi e le levette minuscole e i sedili duri e marroni. Aveva il motore dietro. E davanti aveva un cofano portabagagli che a parte la ruota di scorta ci stava sì e no uno zaino. I bagagli appunto, la mia sventura. I grandi discutevano dei bagagli e noi chissenenfrega, problemi loro. Io già sognavo il vento in faccia. Sì perché la cosa più bella della 500 era il tettuccio che si apriva e tu potevi guardare il cielo. E a volte potevi stare in piedi sul sedile con la testa fuori. Proprio come il comandante di un carro armato.
Milano – Riccione in
La 500 azzurra quando la vidi prima di partire per il mare, ci restai malissimo.
Il problema bagagli fu risolto con un portapacchi sul tetto.
Addio tettuccio aperto.
Addio vento.
Addio.
che sogno la mia cinquecento bianca!
anni ’72 e seguenti…
Quando si partiva per il mare, per quel “magnifico” campeggio fra i campi e la laguna, col passeggino e le valige sul tetto con tutto l’occorrente per tre mesi, scorte mangerecce conprese!
E l’interno era stipato di giochi, di provviste per il viaggio (lecca lecca e biberon compresi) e di bambini.
Si partiva la sera con la speranza che loro dormissero. Ma nulla! Forse perché, per farli dormire, io cantavo “el purtava i scarp de tenis” o “mia bella ciao”, che forse non era il massimo. Ma ero io che dovevo stare sveglia alla guida!
Il sonno dei giusti arrivava sulle mie note stonate di una bella canzone anarchica, che ora non canto più perché non la ricordo. Peccato!
Quando ci ripenso, mi accorgo che certe cose erano possibili solo se possedevi una cinquecento e una speranza dentro che spaccava le pietre e raddrizzava le gambe ai cani (dicevo così per farmi coraggio, ma non avrei mai fatto male a un cane, anche se sono una gattofila).
Quando ci penso, capisco perché ho due figli: uno creativo e anticorformista e uno preciso e razionale (lui era quello che stava sveglio tutta notte con la pila e la carta stradale “perché non si sa mai che ti perdi,mamma”).
Che bei tempi! E come era grande, per me, la cinquecento!
Per forza, doveva contenere tutti i miei sogni e quelli dei miei piccoli, anche!
Dimenticavo, nella mia cinquecento ci stavano, in mezzo a noi, anche molti libri, colri, pennelli e carta e le nostre macchine fotografiche, tre, perché eravamo in tre.
Ecco perché per mio figlio la macchina fotografica è il logico prolungamunto del braccio e del cuore!
Magie della Cinquecento!!!
Grazie. Di avermi ospitato sulla tua 500 bianca.
A presto, al prossimo ricordo, al prossimo viaggio.
non sapevo che fra sacchi e bagagli c’eri anche tu!