Quando non sono morto per tanto così
Prima di tutto non è vero che si rivede in fastforward tutta la propria vita.
Io ho sentito solo TONK. E poi l’asfalto bello caldo di un pomeriggio di fine maggio. E la bici addosso.
No, che non l’ho visto il vecchietto parcheggiato che apriva la portiera proprio sul mio ginocchio destro.
Sì che l’ho vista la macchina che frenava un metro prima di mettermi sotto.
Sì che l’ho sentita – qualche minuto dopo – la pavesissima moglie del vecchietto spaventata più di me “…ma è sicuro che non vuole nemmeno… una camomilla?” (Ma un rum no?)
No che no mi sono fatto niente, no. Sì, spaventato sì. Ma solo dopo. A freddo. Per l’esattezza il giorno dopo, in metro, riproiettandomi il film non della vita ma della giornata precedente. Una giornata in cui mi ero chiesto se avesse senso il desiderio di congelare la propria prole. Per poterla poi ritrovare ogni volta identica a quel giorno lì. Fermare tutto insomma, senza scendere però.
Una giornata iniziata con la figlia unenne che pronuncia il tuo nome, dotandolo di una patente di supereroe mitologico: PapàTitano. Lei che assorbe e riproduce ogni parola e suono. Che imita – non si sa se per burla o per istinto – persino il pianto della sorella maggiore. Spugna sonora. Campionatore umano di 80 cm di altezza.
Una giornata conclusa con un’interminabile sessione di allettamento della settenne: mezzora di Neverending Story con tanto di trascrizione pseudofonetica (ric de stars, drim e drim ecc.), proseguita con lettura libro, rito del quanto bene (lungo come la fila di tutte le formiche del mondo) e chiuso dalla domanda sulla luna. “Papi ma a cosa serve? la luna” “… ahem… (improvviso al volo) a far sognare gli innamorati…” “Papi me l’avevi già detto e poi tanto lo so che non è vero notte”. Piccolo archivio vivente interattivo delle risposte già date.
Quindi non è vero che ti rivedi scorrere la vita davanti. E’ vero però che se poi ci pensi a freddo in metrò a un certo punto dici ad alta voce: “E vaffanculo: per fortuna che non sono morto! … No, signora scusi non dicevo a lei”.
Poi capita che ci metti una settimana per capire se questa storia andava scritta e se sì come. E poi lo fai solo ora. Appena è sparita la botta sul ginocchio.
andava scritta; e proprio in questo modo.
hahaha! (cioè, non rido per quello che ti è capitato, ma per come lo racconti) grande!!! senti ma… Holiday In Berlin, la suonate di solito?
Bello.
Soprattutto bello saperti ancora qui.
:-O
e ce lo dici così?
brutto, io giro sempre in bici e ho il terrorissimo delle portiere assassine
poi la volta in cui sei distratto, sbam!
almeno non sei morto.
non facciamo scherzi, per carità, che io al momento sono di lacrima facile…
Ciao, ti volevo solo dire che a me il nostro breve ma intenso rapporto è piaciuto molto. Chiamami se vuoi che ci rincontriamo… 😛
Quoto Kika. Nonono. Non si può. Non si può (io il liscio in bici l’ho fatto da sola, finendo dentro una rotaia del tram proprio quando avevo pensato “devo stare attenta alle rotaie” e menomale che non passavano macchine né tram: potevo farmi molto molto male, ecco).
Dannati vecchietti!