“1000 dischi per un secolo”, il libro miniera di Enrico Merlin
Che ci volete fare, ognuno ha le sue perversioni. Io, per esempio, quando leggo un libro, per prima leggo la quarta di copertina e poi salto subito ai ringraziamenti. Difficilmente quelli ti rivelano chi è l’assassino. Ti dicono invece molto su chi è l’autore: da come scrive, da quante persone nomina, da come le racconta, si riesce a vedere il suo lavoro, il suo scrivere.
Quando ho preso tra le mani il nuovo libro di Enrico Merlin – “1000 dischi per un secolo” – e ho sentito che pesava 2 kg e ho visto che in quarta c’erano i virgolettati di Paolo Fresu, Mark Harris e Uri Caine (tra gli altri), mi sono subito accorto che questo libro per me sarebbe stato un viaggio, un’esplorazione, una miniera. Pensateci un momento: 1000 dischi. Ascoltati, vissuti, studiati e raccontati. Pensate a chi ha deciso di raccogliere e scrivere quelle 1000 piccole grandi storie: di sceglierle incasellandole lungo i decenni del XX secolo. Un lavoro affascinante, una sfida paziente, dalla miniera alla vetrina della gioielleria: scavare, trovare, scegliere, lucidare, esporre. E così tra le tante persone citate nei ringraziamenti – accanto a musicisti illustri, storici della musica e didatti – a me piace pensare a Chiara, “che ha condiviso con me 15 anni di lavoro, gioie e pensieri” all’Elettrocommerciale, “storico negozio di dischi e punto di incontro culturale trentino”. E mi piace pensare che questo libro per Enrico Merlin sia iniziato proprio lì: curiosando, catalogando, scegliendo, consigliando, ascoltando sia i dischi che i clienti.
Io, nel mio piccolo, ascolto musica ormai da qualche decennio e dopo un periodo di oscurantismo in cui sono stato il classico jazzista elitario snobbone, ho riscoperto la gioia di cercare ovunque quel che musicalmente mi piace: da un teatro a un’osteria, da un festival sfiorito a un rave party, senza barriere, senza vergogne, senza snobismi. E più vado avanti ad ascoltare musica, più mi si aprono smisurate, nuove e invitanti… lacune. E sono i libri come questo che da un lato me le colmano e dall’altro suggeriscono ogni volta nuovi sentieri, con vista abbagliante su nuove imperdibili lacune – appunto – che si aggiungono alle mie storiche: la classica del Novecento, l’avanguardia, ma anche l’hip-hop e quel decennio di pop rock che mi sono perso chiuso nella mia cameretta con Miles e Thelonious (sempre siano lodati).
Il libro – o meglio, l’impresa di Merlin – è così strutturata: per ogni decennio del ‘900 sono raccontati i dischi più importanti e significativi, di ogni genere. Le schede hanno una parte anagrafica e una più personale e narrativa, sono incorniciate da una citazione secca (dell’autore del disco o sull’opera), si chiudono con un link. Io ho letto per prima, per prova, la scheda di un disco che conosco alla perfezione, il primo di EELST, perché ce l’ho, dico proprio il vinile, perché avevo consumato “Live in Borgomanero”, perché ero lì quando è uscito, perché l’ho vissuto insomma. Ebbene in 20 righe ho trovato il giusto omaggio e almeno 4 informazioni curiose che mi mancavano.
Quel che più mi affascina di questo libro è l’idea che per scriverlo occorre saper spostare le orecchie e il gusto musicale. Non so se mi spiego. E se non mi spiego meglio, perché proprio di questo spero di poter parlare presto direttamente con l’autore, magari proprio qui sul blog. E poi è un libro fatto per suscitare discussioni: è rimasto sulla mia scrivania in ufficio una settimana e i miei colleghi più giovani ci hanno cercato (invano) gruppetti a me sconosciuti: “Ah, beh zio, ma per fortuna ci sono i Sex Pistols”.
Il libro di Merlin ha in realtà anche qualche difetto.
1. Non funzionano i link! Ormai, se ci fate caso siamo abituati a pigiare dovunque e – click – si apre un video. Ebbene, qui ovviamente no: questo è un libro signori, carta che si sfoglia. Ma i link ci sono: sono tanti e ben scelti.
2. È in bianco e nero: con le foto e le cover dei dischi a colori sarebbe stato stupendo ma – mi rendo conto – sarebbe costato un botto.
3. Essendo un tomo di poco meno di 1000 pagine, è scritto in corpo a tratti molto piccolo e mi ha definitivamente convinto che sto perdendo la vista.
4. Dà dipendenza, ti apre nuovi mondi e ti dura un sacco di tempo!
Quest’ultimo, signori, è il suo difetto più bello.
Per questo, che voi siate musicisti, appassionati di musica o semplicemente esseri umani dotati del senso dell’udito, questo libro è il miglior regalo che potete farvi.