La contesa delle tette (sì, quella di Nick Hornby, esatto)
Sono in stazione in coda per fare l’abbonamento. È quasi il mio turno. Una signora piccina coi i capelli bianchi affianca la coda, mi guarda. Poi mi si avvicina di lato sorridendo per dirmi qualcosa.
Fermo immagine. Flashback.
Io questa signora la conosco. E lei forse mi ha riconosciuto. Sta venendo a salutarmi.
È la stessa signora che diversi anni fa mi apriva la porta di casa salutando gentilmente. Io ricambiavo il saluto e raggiungevo la cameretta di sua figlia. Eravamo amichetti, morosi… dire fidanzati sarebbe troppo. Avevamo intorno ai 16 anni.
Cosa accadeva in quella stanza, ma soprattutto cosa non accadeva è facile immaginarlo.
Noi chiacchieravamo, ci raccontavamo gli affari di scuola, ascoltavamo De Gregori sul mangianastri e via dicendo. Ma soprattutto noi pensavamo alle sue tette. Entrambi. Io a come raggiungerle, lei a come proteggersi dall’attacco ogni minuto più imminente, atteso e temuto da entrambi, per ragioni opposte e parallele.
A un certo punto, in un punto del tempo a piacere tra i tuoi quattro assi, l’angolo retto di una stella e il collega spagnolo, lì partiva il limone duro. E le nostre rispettive armate si posizionavano sullo scacchiere. Una logorante guerra di posizione. Teatro degli eventi bellici, di volta in volta un maglione, una camicia, un vestito. Obiettivo unico, sempre identico. Quelle due meravigliose e inesplorate colline.
Se stai pensando che questa descrizione l’hai già vista o letta hai ragione.
È esattamente come la descrive Nick Hornby all’inizio di Alta Fedeltà. Oramai quando mi tornano in mente alcune storie, anche senza intenzione, le rivedo e le riscrivo con il filtro di quel libro.
Fine flash back, seguitemi, torniamo in stazione. In quella frazione di secondo in cui la signora sorride e si avvicina, io sono felice che mi abbia riconosciuto. L’ho incrociata diverse volte in questi anni, ma non mi ha mai salutato. O forse soltanto non mi ha mai visto e identificato. Quella morosa in fondo era durata un solo paio di mesi, spezzandomi adeguatamente il cuore (e la contesa per le colline si era chiusa in un sostanziale, dignitoso pareggio.).
Ora però la genitrice delle colline in fiore viene dritta verso di me. Le chiederò come sta sua figlia, la manderò a salutare, tenderò un piccolo filo verso il passato, senza intenzione, per il puro piacere della conservazione dei legami e dei ricordi.
E invece no.
– “Mi scusi, devo solo chiedere un’informazione. Posso passarle davanti? Ci metto un attimo.”
– “Sì, certamente signora, s’immagini…”