Bologna Book Fair: un bastimento carico di
Come ogni anno, dal Bologna Children’s Book Fair torno stanco morto, pieno di curiosità e di titoli, di facce e di disegni, illustrazioni dai 5 continenti, e mi trascino due borse piene di depliantes, cataloghi, segnalibri, e ovviamente una manciata di libri. Ecco cosa appesantisce le mie borse quest’anno:
– l’ultimo numero di Andersen (fui abbonato. Mi riabbono?)
– cataloghi vari tra cui: L’orecchio acerbo, Il Castoro, ZooLibri e “Gli anni in tasca”, nuova collana ragazzi dei Topipittori
– “Un altro me“, di Bernard Friot, il più fulminante (e kattivo) scrittore per ragazzi che conosciuto ultimamente. Imperdibili “La mia famiglia e altri disastri” e “Il mio mondo a testa in giù”. Sono destinati a ragazzi pre-adolescenti ma Alice se li è bevuti l’estate scorsa a 8 anni in due soli pomeriggi, divertendosi come una pazza
– “Tralestelle Trallallà“, libro con cd della collana Nidi, della Sinnos. Perché Anna mi ha detto che sono bravi.
– calendario interculturale 2011 Sinnos.
– “Maestra Piccola“, di Cristina Petit. Perché Clara mi ha detto che il suo è un blog bellissimo. Ed è dai tempi di laprofe.it che non leggo una maestra
– Rivista “Hamelin n. 27, Storia e storie”, acquistata – confesso – solo per avere in omaggio…
– “I libri per ragazzi che hanno fatto l’Italia“, a cura di Hamelin. E’ il corposo catalogo dell’omonima mostra (che non vedrò). Somiglia come idea a “1001 libri da leggere prima di diventare grandi“. Preziosissimo.
– “Guida ai film per ragazzi”, il Castoro. Da qualche mese ero tentato, qui era scontato e l’ho acquistato, mica avrò sbagliato? Aggiungere a piacere altre rime in -ato.
– “Ricette per racconti a testa in giù“, di Bernard Friot, v. sopra
– Sgabello e tavolino di cartone (cartone pressato, anzi pressatissimo!) dei tedeschi della Werkhaus, il cui stand era come al solito coloratissimo.
Sguardi, leggerezza, futuro
Qui mediamente ogni 4 anni si cambia lavoro. (E di solito se ne approfitta per cambiare il template del blog… ma su questo ancora non abbiamo certezze). Comunque scadono ad aprile: è ora.
Quindi un mese fa è capitato di fare una scelta. Una scelta importante, come potete immaginare, e come sempre dopo una grande scelta, ci si sente più leggeri. Così quando Giuliana mi ha mandato un link a un suo post intitolato “Il ghigno del dimissionario”, il primo pensiero è stato che l’avesse scritto per me. (Eh la peppa, addirittura? Sì, il mio ego ultimamente sbrodola fuori controllo e la mia eccessiva autostima mi fa a tratti sembrare uno stronzo).
In realtà il post di Mamma in corriera era del 2007, ispirato da qualche collega dimissionario del suo impiego di allora. L’ho letto attentamente e l’ho fatto leggere alle persone che si trovavano nella stessa situazione: essere dimissionari. E insieme abbiamo capito alcune cose. E ne abbiamo fatto tesoro.
Ne cito solo un paio di passaggi: “Però sono belli da vedere, i dimissionari. Hanno un rictus sulla faccia che non è un sorriso ma di più. Danzano per i corridoi con una serenità del tutto nuova, per loro e per chi li conosce da anni. Il meglio di sé uno non lo dà quando arriva in azienda, lo dà quando se ne va. È solo allora che non ha più niente da perdere e quindi, fatalmente, inizia a vincere su tutti i fronti. Ci metterei la firma per lavorare sempre con almeno un dimissionario in un ruolo chiave del team“. Read More
Amen per il basilico – W il rapanello – Dubbio santoreggia
Ma l’orto sul balcone come va? Eh già, allora, cominciamo subito dalle bad news. L’unica vera sconfitta finora è stato il basilico. Ne avevo presa una piantina e non ha resistito al freddo. Ho cercato di rianimarla ma senza profitto. Amen. Ci riproviamo quando la primavera arriva per davvero.
Crescono belle sane anche le altre piantine acquistate già in vaso: menta, rosmarino, lavanda e origano.
Invece grandissima soddisfazione dai rapanelli. 25 piantine sanissime, alcune già date in adozione ai parenti. Mi vogliono così bene che germogliano foglie a forma di cuore. D’altra parte sono o no il loro babbo, nonché creatore.
Tra le altre semine: ottime le bietole da taglio, ha fatto capolino la maggiorana, sono sbucate abbondantemente le dalie. Nessuna notizia da melissa e salvia.
Ieri è nata la prima santoreggia. Un’erba aromatica, il cui profumo – mi aguro – non abbia nulla a che fare con ciò con cui fa rima.
Francesca e l’adv che non era adv
Internazionale, se mi capita sotto mano, lo sfoglio sempre volentieri. E poi in ufficio c’è Francesca che lo compra e ogni tanto passo dalla sua scrivania e “già letto? posso?”.
Così me lo ritrovo tra le mani in treno. E prima di sfogliarlo, noto sulla quarta di copertina una pubblicità bella e geniale. Un’associazione per la cooperazione internazionale, titolo e immagine ben impaginati e poi la sorpresa: una lettera, scritta con un font tipo calligrafia, una lettera scritta come a mano sopra tutta la pagina, un po’ disordinatamente, anche di traverso. E mica si capivano tutte le parole, no. Ma molte sì. E ti veniva la voglia di sapere tutta la storia… Magari sul prossimo numero c’è il seguito.
Rivolgo un pensiero di ringraziamento ai bravi creativi e apro Internazionale.
A metà giornale trovo il seguito della lettera. Di traverso su un’altra pagina pubblicitaria. E poi alla pagina seguente, tra gli spazi bianchi di un articolo.
Qualcosa non quadra. Mi sento vagamente pirla.
Il giorno dopo Francesca mi spiega: è lei che ha scritto sul magazine la minuta di una lettera. Per un amico, che sta in carcere, ecco. Francesca sorride. Ritiro il pensiero di ringraziamento ai bravi creativi. Era una buona idea. Qualcuno l’avrà anche già avuta.
La mia non-ricetta: granulosa di gambi di carciofo
Ora, intendiamoci. Mai stato un drago ai fornelli. Nessuna fantasia di improvvisarsi foodblogger, appunto, e fare come quelli bravi. Solo curiosità. Chi non ci prova non sbaglia mai. Io sbaglio.
Per una serie di motivi che ho già raccontato qui, sto diventando un po’ green.
Prima i fatti: mangio pochissima carne, compro parecchia verdura (pure troppa, dicono, mia figlia mi teme), azzardo minestre, imbastisco insalate, differenzio i rifiuti, cerco di non sprecare cibo, semino i rapanelli sul balcone (e coltivo un sogno perverso di compostiera solo per l’ebbrezza di veder rinascere il letame e poi i fior).
Poi le persone: seguo l’impresa a basso impatto di Kika13, leggo le idee di Tatiana e da un mesetto divido la scrivania con Labna, foodblogger di quelle brave.
Infine i libri: mi regalo il libro di Lisa Casali sulla Cucina a impatto (quasi) zero.
Insomma un giorno decido di provarci. Obiettivo: una vellutata di gambi di carciofo. La cucino gioiosamente, me la tiro un po’ su Twitter, poi il giorno dopo l’assaggio. Cazzo. Dove ho sbagliato? E’ vellutata quanto un cortile coperto di ghiaia. Ed è amarissima. Ai limiti dell’immangiabile. Ovviamente, a tavola la trangugio diligentemente lanciando gridolini di apprezzamento all’amarezza totale del carciofo. La sera dopo mi concedo perfino il bis.
Poi rifletto. Sulla ricetta. Che quella di Lisa pareva perfetta. Cosa diavolo ho cambiato? Ebbene ecco la mia non-ricetta.
Vellutata di gambi di carciofo.
Ribattezzata
“Granulosa amarissima di gambi di carciofo”.
– Se nel libro leggete 10 gambi, due bicchieri di brodo e voi avete 4 gambi… beh fate una proporzione del brodo.
– Se hai aggiustato a modo tuo i tempi di cottura poi non potrai pretendere di riuscire a frullare tutto in modo omogeneo e vellutato. Da cui il nome Granulosa.
– Se nella ricetta, insieme a carote e cipolla, c’era anche il sedano, un motivo ci sarà stato.
– Se nella ricetta ci stava scritto 10 minuti di pentola a vapore a partire dal fischio, poi frullare e poi altri 5 a fuoco basso, perché non le avete dato retta? Perché ho la pentola a pressione rotta e ho fatto un po’ a spanne, ecco.
– Ma soprattutto: se nella ricetta si parla solo di gambi voi perché cavolo ci avete messo quelle 4 foglie esterne e così tragicamente amare.
Non tutti i gambi vengono per cuocere, d’altra parte, che sono buonissimi anche crudi. Comunque statene certi: ci riproverò.
Pubblicità: saturazione e smaronamento
La pubblicità ormai ci segue ovunque, hanno messo schermi dappertutto, non c’è mai silenzio manco a pagarlo.
Sì, lo so che non è una notizia. Ma secondo me voi che comprate gli spazi per le campagne dovreste ragionarci su. Il rischio saturazione è altissimo ormai. Che poi dipende anche da dove li mettete ‘sti video. Ebbene, le stazioni non sono solo il luogo dove passeggeri sereni e ricettivi aspettano treni comodi e puntuali per fare meravigliose vacanze.
No, le stazioni sono altro.
Per milioni di pendolari le stazioni sono regolarmente altro.
Per dire, l’ultima volta che ho sentito quell’allegra canzoncina che accompagna un’automobilina ero a casa mia tranquillo e al calduccio. Già, ma le volte precedenti dov’ero? L’ho realizzato subito, non appena è partita. Sì, perché alle prime note il viso mi si è contorto, ho sentito chiaramente il freddo delle 7 del mattino, ho assunto lo sguardo cattivo da “non avrò pietà: devo conquistare un posto a sedere sul regionale”, ho affilato i gomiti sperando di imbroccare il vagone riscaldato (ma non quello a microonde) e di poter distendere i piedi una volta seduto. Insomma mi sono rapidamente trasformato nel me stesso delle 7 del mattino.
E naturalmente hanno iniziato irrimediabilmente a girarmi i maroni.
La recensione nel cognome
– Papà quando mi insegni “Broken“? So già “Gli ostacoli del cuore” e anche cantare “Luce”, così saprò tre canzoni di Elisa, papà quando me la insegni?
– Eh ok dammi 10 minuti, prima la imparo io e poi te la insegno, ma ci hai pensato al concerto? Ci vuoi venire al concerto di Elisa al Teatro Fraschini, quello dove…
– …sì quello dove ho visto il tuo concerto quello che bla bla con lo zio su quella storia là della Sicilia, sì me l’hai già detto cinquecento volte.
– E ci vieni o no?
– Ma devo scegliere? Cioè se andiamo a vedere Elisa non andiamo poi a vedere anche Lorenzo Jovanotti?
– No, tranquilla. Se vuoi ti porto a tutti e due, ma mi devi promettere una cosa.
– Cosa?
– Che non ti addormenti, come all’ultimo concerto a cui sei andata con lo zio e la nonna.
– Ma papà, certo che non mi addormento: quella si chiamava Mannoia…
Al suo posto io mi buttavo dal 50° piano
Io alla sua età mi sarei buttato dal 50° piano piuttosto che cantare in pubblico.
A 8 anni feci l’esame del primo anno di teoria & solfeggio. Le materie erano tre: dettato, solfeggio parlato e solfeggio cantato. Per l’intero anno scolastico sul cantato avevo fatto scena muta. Chinando il testone zazzeruto sul pentagramma, la matita per scandire il tempo ritta e immota nella destra, muto, aspettando che il Maestro Angelino Rossi di fronte al granito della mia timidezza passasse a interrogare un altro.
Così mi portò all’esame sulla fiducia. Perché c’avevo orecchio, ecco.
All’esame poi cantai.
Cantai un paio di misure e poi scoppiai a piangere e scappai fuori e giù per le scale e ripresi aria che ero già in cortile.
Passai con un 7. Perché c’avevo orecchio.
Io alla sua età mi sarei buttato dal 50° piano piuttosto che cantare in pubblico.
Oggi Alice è salita sul palco di un teatrino, davanti a 30 persone, genitori e bimbi del suo corso di teatro. Ha imbracciato il mio ukulele rosso e ha cantato “Fango“. Che è orecchiabile e facile sì, son quattro-accordi-quattro, ma provateci voi a cantarla tutta, a memoria, con quegli inghippi di ritmica e di testo che sembra uguale e invece è diversa. Provateci voi.
E stavolta non ho nemmeno pianto, ecco.
L’ossimoro e la luna
Mi sono accorto che so spiegare a mia figlia cosa è un ossimoro e non perché stasera la luna si vede solo a metà.
Ovviamente è scarsamente probabile che una ragazza di anni 9 chieda lumi sulle figure retoriche. Infatti mi ha beccato impreparato sulla luna.
Deve essere anche per questo, penso, che ultimamente leggo tanti libri per ragazzi. O manuali o “riassunti” del mondo. Perché c’è una fetta di sapere che non ho mai imparato (metti che quel giorno a scuola ero distratto, per esempio da un ossimoro?) o che ho dimenticato.
Perché mi piace quando mi si spiegano le cose complesse in modo semplice – che ovviamente è cosa difficilissima – proprio come accade nei libri divulgativi, se fatti bene e con amore.
Perché nella mia missione di genitore in progress c’è tanto spazio e tanto investimento (e tanta soddisfazione) sul ruolo di educatore. E un educatore non è tale se non è continuamente anche alunno. Curioso delle cose del mondo e dei molti modi di narrarle.
Così ultimamente ho scoperto il triste e beffardo destino del dodo, la cupa tragedia del quagga, ma sulla luna, ahimè, non ho ancora le idee chiare, ecco.
“Improvvisamente” a teatro: una scoperta serendipica
A conti fatti, penso che Clara abbia fatto proprio bene a insistere. Clara era finita per caso in una mia mailing list di travel blogger. Il suo blog personale, divertente e ben scritto, si chiama viaggiattrice. Non era il mio target ma qualcosa (forse l’essere anche lei pavese e con un cognome in comune con alcuni parenti) mi spinse a scriverle. E lei ricambiò e ci scoprimmo improvvisatori. Lei su un palco di teatro. Io dietro un pianoforte, dietro a uno schermo muto o a un reading di poesia. Ci scoprimmo reciprocamente curiosi. Serendipicamente, come svela il seguito.
Clara ci ha messo almeno 6 mesi a trascinarmi a uno spettacolo di teatro improvvisato, un’arte che nella mia ignoranza ancora non conoscevo. Una volta non potevo, l’altra ero stanco, oppure non ero convinto di portarci Alice perché temevo contenuti troppo adulti.
Clara, tenacissima, non ha mollato mai. Cortesemente, mi rompeva i maroni. E faceva bene.
Un paio di settimane fa, ho speso un sabato sera a Motoperpetuo: in scena una sfida, il duello (fraternissimo e collaborativo) della realtà pavese Improvvisamente contro i padovani di Cambiscena. Una serata divertente, stimolante, per molti aspetti rivelatrice. Con Alice accanto a me in prima fila, attentissima e divertitissima. Ci torneremo di certo. E non solo. Prima o poi, forse prima di quanto ci possiamo immaginare, ci ritroveremo sullo stesso palco.
Proprio così, improvvisamente.