Zappa band: ci vediamo domani a Spazio!

Vagamente ebbri del pienone di CInestesia con Keaton, noi domani si ritorna in scena a Spaziomusica con Mn & i Contenuti Speciali.
Domani battezziamo due nuovi pezzi: Willy the pimp e Myguitar wants to kill your mama.
Vi aspettiamo lì.

CINESTESIA: martedì 9, Keaton Navigatore

Domani sera vi aspettiamo al solito posto. Il palco buio di SpazioMusica a Pavia, aperitivo alle 19, buio in sala alle 21 precise. Noi siamo nascosti dietro lo schermo ma siamo sicuri che ci sentirete. Con noi, ospite alla tromba, Dario Gravina. Sullo schermo un altro capolavoro di Buster Keaton, “Il navigatore”.

Chissà se anche lui danzerà con noi come già fece Chaplin. Ecco una clip del nostro spettacolo su “The Gold Rush”.

Manzoni, Eco e “la sventurata Lucia”

In fatto di libri e di storie, io tendenzialmente ho una certa avversione alle riduzioni per ragazzi. Ed è sicuramente un sentimento indotto dalla lettura di “Storia delle mie storie“, di Bianca Pitzorno, che resta – anche a distanza di anni – uno dei libri più belli sull’arte di scrivere e raccontare storie.

Poi però ho notato sull’Espresso questo progetto “Save the story“. Prendi 4 classici che bambini e ragazzi d’oggi non leggerebbero, se non probabilmente a scuola e di malavoglia. Prendi quattro scrittori, quattro scrittori veri, e li metti al lavoro. Il grosso difetto che donna Bianca rimproverava alle antiche riscritture dei classici destinati all’infanzia erano la perdita dello stile, la mancanza di equilibrio della storia, l’arbistrarietà dei tagli. Che potevano ragionevolmente essere opera di chissà chi, probabilmente semplici, diligenti, volenterosi redattori, già.
Ora, io di Eco, Baricco, Camilleri e Benni mi fido.

“I Promessi Sposi” riscritti da Eco sono piaciuti a mia figlia (glieli ho letti in tre sere) e a mia madre (se li è letti in mezza mattina).  Una bella edizione, robusta il giusto, ben illustrata, con un epilogo (cosa ci insegna) e pure il contesto (“la storia di questa storia”). Una storia riscritta in modo agile ma non facile, conservando parole manzoniane e inserendoci accanto metafore e immagini contemporanee. Una storia veloce e persino divertente, questa qui del sciur Alessandro, lo “scrittore con la faccia da cavallo”, con qualche doverosa licenza creativa come quella che ho usato per il titolo.

Questi Save the Story, costano poco, 12,90, e valgono molto. E colmano le mie lacune. Io, per dire, di “Don Giovanni” non so quasi nulla. E poi sono perfetti per essere letti in pubblico e infatti vedo che ci hanno già pensato.

Perché in fondo riscrivere è una delle sfide continue dello scrivere.

Neologismi: beggiare (o badgare)

Salgo in treno. Lui e lei al mio fianco parlano della loro giornata di lavoro. Lui le dice che ha dovuto fare la coda sotto la pioggia per beggiare. Io drizzo le orecchie. Lei dice che è pazzesco, che nella sua filiale si beggia solo al coperto. Io mi chiedo cosa significhi. Lui dice che potrebbero anche mettere delle pensiline. Così quando piove e devi beggiare, metti che c’è la coda, non ti bagni.
A questo punto forse ho capito cosa significa. Ho chiaro che non c’entra con Andrea Beggi. Mi chiedo se si scriva beggiare o badgere o badgare.

Temo che qualcuno della Crusca prima o poi dovrà decidere come si scrive.

Penso: finalmente qualcosa da scrivere sul blog, e che diamine!
E poi come capita ogni volta che mi imbatto in un neologismo, ho subito paura che mi scappi via di nascosto una parola del passato. E allora mi tuffo – carpiato nei ricordi – e ne afferro una a cui sono affezionato. E la parola a cui mi aggrappo è… lo scrivo nel prossimo post.

Cinestesia: martedì 19, “Il monello”

D’autunno, si sa, cadono le foglie e torna Cinestesia.
Noi altri del collettivo bluEsForCe scegliamo i film muti che vogliamo suonare, invitiamo i musici ospiti, il diretur si inventa una figata di locandina e poi vi aspettiamo a SpazioMusica.
Ci vediamo al buio.

Quest’anno partiamo con tre capolavori del comico, Chaplin, Keaton e ancora Chaplin. E con tre ospiti di un certo livello.

Cinestesia è anche su Facebook.

Cinestesia: ottobre-dicembre 2010

Uno che è solo parole

Insomma, poi un’amica mi gira un post che parla di libri per bambini.
Lo leggo e ci trovo tanta curiosità, competenza, passione.

Questo 403 è quel che una volta chiamavamo “un blogghino di splinder…”. Senza alcuna pretesa grafica, pronti-via.
Mi ricorda qualcuno.

Il giorno dopo lo riapro quel blogghino e leggo altre cose. Non riesco a catalogarlo. Non è un foodblogger, nè un travelblogger, non è un photoblogger, nè uno scegli-tu-la-parola-blogger. E’ semplicemente un tipo che dice la sua su splinder.
Mi ricorda qualcuno.
Qualcuno che sono stato anche io, ai tempi del mio blogghino su splinder. E sembra una vita fa, e un po’ lo è davvero.

Noto che non ha nemmeno i link pulsantici, iconici, biquadratici, ai socialcosi più a la page, quelli ormai praticamente obbligatori. E’ uno, questo 403, di cui non posso vedere subito la faccia, il cv, le foto di famiglia. E mi rendo subito conto che non voglio vedere nulla di lui. E’ uno che non nomina mai il web2.0, che probabilmente non riceve mai prodotti in prova, che non viene corteggiato dalle aziende, invitato agli eventi.
Lo cito su twitter e lui gentilmente mi viene a salutare qui sul blog. Ma io non rispondo. No, 403, perché voglio che questo incantesimo duri.

Questo 403 è uno che io sono contento di sapere che c’è.
Perché è uno che è solo parole.
E sostanza.

Perversione n. 160

Dato che sono giorni di coming out, oggi vi confesso una mia personale, privatissima perversione.

Io quando scrivo un sms, prima lo scrivo di getto, senza contare i caratteri.
Poi vedo quanto è lungo – 200 caratteri? no problem – e prendo la pinza.
Con la pinza levo tutto quello che è di troppo.
Poi prendo la lima e rifinisco per benino il lavoro.
Prima di spedire, rileggo e lo riguardo da vicino in controluce.
Spesso soffio sul cellulare per far volar via la limatura di parole, quei 3-4 caratteri che ancora sono di troppo.

La mia perversione è questa qui: i miei sms sono di 160 caratteri. Non uno di più, non uno di meno.

Diamine, dirai, ma quanto ci metti, ma sei un pazzo!
Sì, ma vuoi mettere quanto fa bene – alla pinza, alla lima, ai neuroni – tutto quest’esercizio?

Scrittura e acqua calda: copiare per imparare

Giovani neo-colleghi e compagni di stanza,

sia io che chi vi ha messi seduti a codesta scrivania ci auguriamo che abbiate capacità e predisposizione alla scrittura, all’uso della scrittura come strumento quotidiano di lavoro. Tsk. Non fate quella faccia: non pensare che imparare a scrivere significhi solo non fare errori e scrivere in modo corretto. Per quello ci sono le scuole (e immagino che le abbiate già fatte). No, qui dentro per noi scrivere è molto, molto di più.

Scrivere è informare, raccontare, convincere, incantare, nascondere, coinvolgere, sedurre, divertire. A volte scrivere è persino tacere.

Scrivere è comunicare, sì.

Ci sono i libri (ma ci sono anche quelli inutili), ci sono i corsi (anche quelli fregatura), ci sono i maestri (anche quelli incapaci o svogliati). Sì, come in tutte le cose da imparare.

E poi ci sei tu (e passo al “tu” perché idealmente vi guardo uno per uno).
Ci sei tu e tutto un mondo intorno da cui imparare. Perché il modo più semplice e più efficace per imparare a scrivere è guardarsi attorno, leggere, smontare e rimontare, copiare.

Il mondo intorno a te è pieno di cose scritte. Quando una di queste ti piace, non voltare pagina. Rivolta lei. Quella frase, quel passaggio, quella pagina. Perché ti è piaciuta così tanto? Perché ti ha convinto a comprare un oggetto, a votare per un signore, a visitare un sito? Perché ti ha fatto sobbalzare, ridere (o rodere), oppure piangere? Quella frase poteva essere scritta in 10, 100, 1.000 modi diversi. Che cosa l’ha resa speciale. Smontala, guardaci dentro, rimontala. Togli un pezzo, spostane un altro, giocaci come coi Lego. Scoprirai che cosa ti ha fulminato. Un aggettivo, un verbo, il ritmo. Una ripetizione, una contraddizione, un’assenza. Un colore, una musica, un profumo.

E poi copia. Copia da quelli bravi.

Sceglili tu chi sono quelli bravi, mica posso dirti tutto io. Li trovi nei romanzi, nei giornali, sul web. Ma anche sui muri, nelle poesie, nelle canzoni.

Non pensare che io intenda a tutti i costi insegnarti a scrivere.
No, mio giovane amico, no. Non credo che, se non fosse minimamente nelle tue corde, ne sarei capace. Né che – in questa vita, con questi ritmi – ne avremo mai il tempo.

E ora dai, bando alle chiacchiere.
Lasciami lavorare.

A Love Supreme. Incantamenti metropolitani

Sono in metro, linea tre, la gialla, una qualsiasi delle mie mattine. La strada la so, piastrella dopo scalino, inutile guardarsi intorno. Oggi niente musica in testa. Ho un libro. Entro nel vagone mi aggancio, apro il libro e chiudo il resto. E tiro dritto.

Ma poi entra lei. Che ha capelli ricci e rossissimi ed è la seconda cosa che penso. La terza cosa che penso è che è uguale a Violet Baudelaire, ma da grande. La prima cosa che penso – e che non smetto di pensare durante la seconda e la terza – è che lei è bellissima.

Mentre faticosamente fingo di non guardarla, lei si piazza proprio davanti a me e inserisce lo sguardo fisso altrove. Che è quella specie di scudo che usano a volte le ragazze o le donne in metropolitana, specie se attraenti. Il suo sguardo fisso altrove è sui toni del grigio e del verde ed è perfetto. Perfetto per attirare la mia attenzione.
Ma c’è qualcosa che mi stordisce ancora di più. Ha le cuffie ed è così vicina che riesco a sentire cosa sta ascoltando.

Cazzo. Ascolta Coltrane.
Lei. Sta. Ascoltando. Naima.

Uno dei temi più belli e magici di sempre. Che John dedicò alla moglie.
Estraggo l’iPod e mi metto a srotellare. Ce l’ho anche io, quella Naima lì. Voglio raggiungerti, rossa. Voglio entrare in paradiso un momento con te, prima che tu scenda. Uniamoci ora qui sul metro. Almeno musicalmente intendo.
Indosso le cuffie un po’ lasche, come le ha lei, in modo che ne esca il suono. Metto Naima e non contento di sentire il tenore coltraniano che mi accarezza i timpani, voglio che siamo unisoni. Io e la rossa, sì. E John galeotto sullo sfondo. Voglio che la nostra Naima sia una sola, sincronizzata come fossimo un solo paio di orecchie. Voglio che ci proviamo, anche se lei non lo saprà mai. Forse. E così, smanetto e ascolto e srotello, finché magicamente le nostre cuffie trasmettono insieme la stessa magia in perfetta sincronia.

Intanto la metro si è svuotata e forse anche la mia fermata è passata ma ora non m’importa. La rossa però improvvisamente sgancia lo sguardo dal suo altrove e lo punta su di me. Si scosta un auricolare e ascolta. Sente Naima doppiamente stereo, unita e incatenata solo per noi due. Il vagone è vuoto. Lei sorride ed è un lampo grigio verde. Io capisco che lei ha capito e sento che vorrei, dovrei scappare. Ma lei mi indica, sorride, scuote la testa vagamente incredula e in quel momento si aprono le porte della metro ed entra un giovane col chiodo, tutto borchiato e piercingato, che si agita al ritmo di una musica che non capisco da dove viene ma Naima non c’è più e lui ha un orologio al collo e si mette a ballare oscenamente davanti alla rossa che non sorride più e la musica che rimbomba sempre più forte e lui sghignazza e lei la vedo che ha paura ma non posso parlare perché la musica è troppo forte e quella musica porca puttana è proprio quella lì.

Guardo il soffitto.
Spengo la sveglia.
Scendo dal letto.

Il buzz online spiegato a mia moglie

Sera, interno familiare, cena. Lady Burp scodella un fantastico risotto fumante. E mi interroga.

LB: Ma allora non mi ci puoi portare anche me?

ZB: Eh, ma cosa? Dove? Ma dici alle terme?

LB: Ma no, dico a quell’anteprima lì, quella del musical… Mi hai detto che per lavoro forse ti davano dei biglietti gratis no?

ZB: Mmm sì, ba tzono i gignetti…  i gignetti pe gnoggger…

LB: Cortesemente, me lo ripeti senza masticare durante la frase?

LB: Mmm etto to isotto è èmpe antastico, aore

LB: Grazie. Ora ripetimi dei biglietti, dai.

ZB: Quelli sono i biglietti per i blogger. Il cliente me li dà per loro. Perché loro vanno all’evento… alla cosa, lì l’anteprima… e poi ne parlano online. Sui loro blog e socialcosi.

LB: Socialcosa? No vabbè ho capito… ma…

ZB: Ma?

LB: Ma anche io poi ne parlo! Io ne parlo al lavoro… in clinica coi miei colleghi, con i pazienti, con…

ZB: …con i tuoi vecchietti protesizzati d’anca ne parli? Del musical?

LB: Sì sì, io ne parlo coi vecchietti, diglielo al tuo cliente socialcoso dei miei stivali!

ZB: Ok ok, tesoro, ma che c’è di secondo? Tanto poi ti ci porto io a teatro… ok?