libri in tv: un ossimoro?La prima dell’Ultima…

libri in tv: un ossimoro?
La prima dell’Ultima razzia. (L’unica?)
Stasera 22.30 su Rete4, nuovo programma culturale condotto dal duo Roversi-Blady: si chiama “Ultima razzia” Dall’interno di  una libreria (Mondadori, naturalmente) si parla di libri, film, cultura. Insieme ai conduttori stasera Jane Alexander, Maurizio Nichetti, Giele Dix.
Il programma nasce da un format francese. La puntata è un n. zero. Se l’Auditel sarà ok, allora Mediaset ne farà un appuntamento settimanale a partire da autunno. La sfida è di quelle storiche (e storicamente perdute): si può fare in Italia una degna trasmissione tv sui libri?




riflessi condizionatiProfumo d’invernoEsce il…

riflessi condizionati
Profumo d’inverno
Esce il nuovo Harry Potter.
E io non ho ancora comprato nemmeno un regalo di Natale.



scrivere: satira e giornalismoCastigat…

scrivere: satira e giornalismo
Castigat ridendo mores
Dal Corsera di sabato, qui, un’intervista di Claudio Magris a Michele Serra, giornalista, scrittore, satiro.
“…lo scrittore è libero, attarverso la narrazione di non dare risposte.” Fa venir voglia di leggere “Cerimonie”, soprattutto il primo racconto criticato da Magris.




È popio peciale quetta fattoia-o, eh!

Nel sistema di pensiero e di linguaggio della creatura, dicesi “fattoria-o” quell’ambiente che contiene polli, cani, gatti, bovini ed equini in quantità variabile.
Il suffisso -o altro non è se non la vocale rimasta appiccicata al sostantivo fattoria dalla lunga frequentazione con la nota canzone ia-ia-o.
Il titolo del post, invece, è il commento della creatura oggi verso le 13, finita la gita in questo posto, una mini jungla poco lontano da casa, popolata da
cicogne, pappagalli, upupe, bradipi, cerbiatti, storioni, colibrì, aquile, falchi, castori, lontre e mi scusino le farfalle se non le nomino tutte.

musica & politicaTrattasi di cagata…

musica & politica
Trattasi di cagata pazzesca
Circa una settimana fa
avevo scelto la sospensione cautelativa del giudizio (epochè, erano anni che cercavo di usare ‘sta parola). Poi avevo linkato lo sviluppo del dibattito sui media. Ora che lo ascolto sciolgo ogni dubbio residuo.
Il
nuovo inno dell’Ulivo
, dico.




tempi moderni: l’uso dell’internet…

tempi moderni: l’uso dell’internet aziendale
Quanto sei slacker?

Ora, scagli la prima pietra chi dall’ufficio non usa internet anche per scopi privati (più o meno disdicevoli). Su le manine dai, quelli che lo fanno, blogger o blogless. Ehi anche voi dei piani alti… ok potete limitarvi a far tintinnare i vostri Rolex.
Quindi una cosa è navigarsela 10 minuti per sé e altro è essere uno slacker, il professionista del battere la fiacca. (Perché si dice così poi? Boh…). Ma dove comincia l’uso improprio dell’internet aziendale? Cosa dice il sindacato? Cosa la legge? Ne scrive il Messaggero qui, qui e qui (l’ultimo box è sui controlli aziendali e sui modi per eluderli). Nell’articolo principale si cita anche quel sant’uomo del De Masi: “Internet può essere sì una distrazione, ma è anche fonte di sapere e di apprendimento. E se è dannoso lo slacker, ben più dannosi sono certi lavori stupidi. Meglio interromperli con una bella navigata. (Poi a lungo si può discutere sul dove navigare, se in blog interessantissimi (?!?) o nei siti elencati nel pezzo, che definire fuffosi è gran complimento).
In definitiva il mio consiglio è: usate il buon senso, non esagerate e soprattutto intrattenete con il vostro IT manager (se ne avete uno, lui vi vede sempre. Statene certi) un rapporto sereno, equilibrato e sincero.
A proposito (ora mi rivolgo a lui direttamente): domenica non sono potuto passare a lavarti la macchina. Però più tradi scendo a portarti il caffè (lungo, due di zucchero, già girato) e se ti va posso schiacciarti anche qualche punto nero.





comunicazione: come ti piazzo il brand sul…

comunicazione: come ti piazzo il brand sul giornale
Product placement col botto

Sfogliando i giornali di oggi è impossibile non vedere l’enorme pallone griffato Nike che a Bangkok è caduto su un’auto fracassandola completamente. (Ora non trovo la foto, più tardi se riesco la inserisco, se qualcuno me la indica nei commenti gli pago una birra, grazie).
I miei complimenti per questa operazione di comunicazione (product placement appunto) vanno divisi a metà. Agli ingegneri che hanno calcolato la caduta della boccia in modo che il logo fosse non dico visibile ma perfettamente al centro dell’auto e della foto. E ai creativi che si sono inventati l’accadimento. Sempre che non vogliamo abboccare in pieno e pensare che quanto accaduto sia davvero figlio del caso. Mi resta il dubbio sul proprietario della macchina ma non ho contatti con il registro automobilistico thailandese e non posso controllare.


A beneficio delle persone che hanno passato…

A beneficio delle persone che hanno passato il sabato e la domenica a Tortona con Giulio Mozzi, mi accingo a riannodare alcuni fili. L’autoreferenzialità di quel che vado a postare fa sì che chi non c’era possa prendermi per pazzo (o prendermi la mescalina dal cassetto della scrivania). Al termine di tutto, i fili non saranno in ordine, anzi. Che questa è vita, mica un romanzo dell’Ottocento.
Come sempre quando i post sono lunghi, vado ad agevolare la lettura con qualche grassetto (che non è un link, link non ce n’è, li aspetto nei commenti).

incontri: il weekend tortonese
Perché suona la campana. E perché non smette mai.
Libera rilettura dei miei appunti al laboratorio tortonese.

Dalla finestra romana solo un paesaggio di cupole e nebbia. Dalla finestra di Bungaro sgomma un motorino. Dalla finestra tortonese un diluvio di campane. A ogni ora, diverse bronzee batterie automatiche sgranano il loro rosario dindondante. Spesso in precisa aderenza alle citazioni manzoniane del Mozzi. L’auditorium spiazzato medita sul Grande Fratello cattolico-mediatico che ci monitora attraverso papi, madonne e donorioni sparsi intorno a noi. La Provvidenza è con noi e non fa nulla per nasconderlo.

A intervalli più o meno regolari la porta alle nostre spalle si spalanca. A volte è solo il vento. O i personaggi dei racconti. Due volte lo spalanco della porta ci precipita in un ER nostrano: solerti infermieri sospingono barelle con degenti malmessi. Solo a fine giornata capisco che erano il marito e il figlio di Monna Giovanna. E il falcone mi chiedo? Passa una barella semivuota. Da sotto il lenzuolo insaguinato sbucano un paio di zampe giallastre.
Il nostro falcone, invece, ha un casco di ricci neri. Approssimandosi l’ora del desinare, si produce in buffe espressioni da pollastro mentre golosi ne tastiamo le sostanziose carni.
In pausa me ne vado al bagno, siedo sulla tazza e chiamo l’amante col videofonino. Pessima idea. “Dove stai? Che bagno è quello? Fammi vedere la casa? No, caro, non è casa tua… Ah sì? Allora passami tua moglie. Non sarai mica ancora a uno di quegli stramaledetti corsi di scrittura eh?” Click.
Stordito dalle accuse, in preda alla colpa, mi rifugio nella contemplazione della pazienza del Mozzi: il trionfo dell’olimpismo. Cava gemme e perle da qualunque materia prima. Gestisce qualunque intervento, anche i più molesti, senza troncare e sopire. Anche quelli che per ragioni diverse ci appaiono più manzionianamente bastonabili, bastonabilissimi.

Suona il citofono e sale un signore con dei facchini. Incartano la metà esatta dei mobili e in dieci minuti se ne vanno. Qualcuno di noi fa per seguirli ma lo sguardo dell’uomo ci frena. Sul pianerottolo potrebbe succedere l’irreparabile, anche del sangue forse.
Con Silvana si entra subito in “Intimità“. I padovani nottambuli mi fanno ricredere sull’idea di andarmene a dormire a casa. Un dottore, schiavo delle proprie nuvole semantiche, èsita fuori dal vaso: si correggerà solo il giorno dopo. Ma che importa?
Le campane si imbizzarriscono. Il Mozzi chiude ancora la finestra e ci indica Augusta. Si aggira in cortile. È in camicia da notte. Non se è ancora rifatta quella treccia. Cerca e raccoglie i nostri mozziconi di sigaretta. Ci si specchia muta. Si vede che ha pianto.
Un grafomane al mio fianco stenografa l’impossibile sul retro delle mie fotocopie. Alla fine non gliele chiedo indietro. Paolo Bianchi ha un po’ meno capelli che sul web, ma è comunque più avvenente della maglietta che indossa.

Psst, ti posso dare il mio romanzo?
Psst, mi dai il tuo cellulare?
Psst, se mi baci ti linko.
Psst, ti posso chiedere di bruciare le mie email?
Psst, ti posso chiedere di non scrivermi mai più, almeno per ora?
Un fondoschiena e un secchio dialogano a lungo. Ma restano fissi sulle proprie posizioni.
Uno strombettìo per strada ci chiama tutti all’esterno. Su una Lamborghini rossa un signore in piedi distribuisce banconote e monìli invitandoci a una festa. Guida l’auto, un fedele falcone. La voce di un vecchio sulla riva dell’ospizio soccorre il nostro sgomento: “L’è sempar lu, quello sborone del Federigo…”

Scoprire la traiettoria di una particella non serve a evitare che essa ti colpisca dritto in fronte.
L’analisi del mistero storico del trasferimento di chiamata alla fine del secolo scorso può trasformare un laboratorio di scrittura in qualcosa di molto simile a un corso di tradimento coniugale. Sonore disapprovazioni e insulti piovono dall’altra parte del cielo.
Bud Spencer e Terence Hill faranno “Troy 2, anche gli achei mangiavano fagioli”.
All’alba, un signore esce da un racconto e, all’insaputa dell’autore, si getta nel Tevere.
In circostanze ancora in via di accertamento, una signora viene strangolata con un posacenere.
Un altro tipo, che tradisce e poi subisce, ruba una boccia di spritz a un blogger padovano, entra in auto si cosparge di campari quasi puro e si dà fuoco. Le sirene dei pompieri coprono appena le campane.

Mi casca l’occhio su un seno che lievita. Torno sul Mozzi. Mi ricade l’occhio. Santi numi, è enorme. Panico. All’esplosione dei bottoni comprendo che è Pinocchia che ha detta una bugia di quelle grosse.

Un grosso scarafaggio si insinua nei sogni di una ragazzina, che innalza a gran voce interrogativi pressanti, rispondibili solo in comode rate lungo alcuni lustri.

Al ritorno in treno nessuno ha portato la chitarra. Peccato, si poteva sedersi tutti in fondo e cantare Battisti a squarciavoce.
Allora attacco bottone con un tipo strano che sa un sacco di cose. È un gelataio, ma dice che dall’oggi al domani potrebbe volgersi in scrittore. O viceversa?
Scendo dal treno e respiro aria di casa. Uniche campane, quelle lievi delle bici.



























musica: il ritorno dell’artistia che è…

musica: il ritorno dell’artistia che è tornato a chiamarsi col suo nome
Someday my Prince will come
È arrivato.
Mi hanno regalato Musicology. Finalmente posso rileggermi a ragion veduta le recensioni lette in giro e godermi appieno questo sito qui.
Tra l’altro il mio umore mattutino è decisamente più funk. Sbiciclettare poco dopo all’alba snappando le dita, clappando le mani, agitando il torso mentre le gambe mulinano quel paio di km che mi separano dal treno. Poi ricordarsi di abbassare il volume e salire in treno. Oppure mettere Radio24, che la voce di SuperBimba è tornata a pogermi i giornali.
SOUNTRACK immaginario: l’immortale tema disneyano di Morey e Churchill eseguito da Prince in solo piano in un nugolo di colombe bianche.





gite, incontri, lettureDa Rozzano a Tortona:…

gite, incontri, letture
Da Rozzano a Tortona: posto che vai, blogger che trovi
A una settimana dall’evento rozzanese non mi sono ancora letto i post della competizione. Però in compenso ho capito che la prossima volta è meglio arrivare puntuali. Così giusto per organizzare meglio la serata. Ho letto un po’ di commenti. Ho letto il brillante Chettimar che cita il Beccalossi di Paolo Rossi per narrare le gesta di Gonio. Entusiasta ho letto molto Chettimar a ritroso. Fino al post del 5 maggio che mi ha rivelato le sue simpatie calcistiche e parimenti la sua crudeltà. Singhiozzando ho lasciato Chettimar ai suoi urletti di bimbo felice.
Alcune persone che erano con me a Rozzano hanno aperto il loro nuovo posticino che promette di farsi interessante.
Ieri e oggi invece sono qui, poi vi racconto, ci sono anche – naturalmente – dei blogger (alcuni muniti di obiettivo altri di bottiglia), ma anche delle persone normali, i cosiddetti blogless. Tanto che a pranzo ieri dopo circa un’ora monotematica (interessante neh, non dico di no) ho detto: Ma se questo incontro si fosse svolto, poniamo, un anno fa di che caspita avremmo parlato?
PS: spero che questa nuova abitudine del postare all’alba non diventi una malattia grave. Anche perché tutto sto sbarluccichìo dell’oro (in bocca) mi infastidisce un poco.