musica: the show mus…

musica: the show must go on, so ladies & gentlemen…
“Suonare bastardi!”
Accompagnato dal grido rauco che ne ha scandito le scalette, intorpidito da due anni di totale assenza dal palcoscenico, falcidiato dagli acciacchi e dal destino cinico e baro, affrancatosi infine della palude della democrazia
, il Modello 740 (tutto ma proprio tutto qual che ne resta) si esibisce domani sera sabato 13 marzo al PuntoZero di Garlasco (Pv). Chi c’è c’è.



blogosfera: nuovi ar…

blogosfera: nuovi arrivi
Un’ape curiosa
Insomma era l’otto marzo e cincischiavo su una panchina del centro di Milano, temendo il suono della campanella che avrebbe chiuso il mio libro (Cortazar, Il persecutore) riconducendomi per un orecchio in ufficio. C’era un filo di sole tiepidino, per cui non mi sono scomposto più di tanto quando ho visto passare un’ape. Quando mi si è avvicinata sì però. Le ho gentilmente indicato il cappellino a fiori di una sciura che passava ma nisba: ce l’aveva con me. Temendone la puntura le ho dato udienza. Trattavasi di ape operaia evidentemente femmina, curiosa del mondo e del ruolo che le donne vi svolgono, interessata all’alveare della politica e ai ronzii che da esso provengono.

Dato il mio essere di sinistra (con tutti i punti di domanda che volete), il mio essere uomo sempre attento all’altra parte del cielo, la mia passione infantile per gli insetti, la mia vicinanza ai curiosi con o senza ali, quando questa ape curiosa mi ha chiesto indicazioni su come aprire un blog, le ho ronzato in breve tutto quel (poco) che so. E adesso è lì che vola in giro, ronza e scrive. Andatela a trovare, ronzate la vostra, datele una mano se vi va.
E non fate come me: risparmiatevi le battute facili sullo streap tease dei fuchi la sera dell’8 marzo. Che altrimenti vi punge davvero.




grammatica: dubbi, p…

grammatica: dubbi, pignolerie, cazzeggio
Oggi si spignoleggia
“Sul palco del tal locale, Pinco Palla ha eseguito un Estate meraviglioso”. È uno degli errori più diffusi quello dell’art. indet.+ sost. femm. senza apostrofo. Ma qui?
Dato che l’estate è una stagione ma Estate qui è il titolo di una canzone di Bruno Martino, divenuta negli anni uno standard internazionalmente noto. Non so: è che se la chiamo brano allora l’apostrofo mi vola via serenamente, ma se la chiamo canzone allora resta. Per non dire di quelli che scrivono “il song di Cole Porter”, maschilizzando una parola che tutti traduciamo automaticamente come canzone.
E vogliamo parlare della parola ermafrodita? È maschile no? Quindi niente apostrofo. Ma l’ermafrodita sarà contento di essere trattato così? O vorrà che so un mezzo apostrofo giusto per non far preferenze e rendere giustizia alla sua ambigua natura?
Sì vabbè, lo so che non son cose importanti. Ma oggi va così. O forse è solo una via di fuga per non pensare a una bomba bastarda su un treno di pendolari.





musica: pusheraggio …

musica: pusheraggio a fin di bene
“Pensavo di spedirgli un libro sui formaggi italiani, che dici?”
Ebbene sì, ho scatenato un mostro. Ho una collega clamorosamente giovane e altrettanto promettente per voracità culturale ed estraneità all’ambiente vacuo che ci ingloba. E così le ho spacciato qualche brano di Damien Rice. Perché ne avevo udito parlar bene (qui in giro: Luca Sofri, Emmebi, Eustonstation) e mi garbava, punto, senza neppur conoscerne il sembiante o aver mai veduto la copertina del disco. Credo sia la prima volta che spaccio della musica che conosco solo in quanto tale, senza poterla associare a una faccia, a un’immagine. Ora lascio la parola alla collega e ai suoi commenti dopo il concerto dell’altra sera.
“E poi è anche carinissimo. E quanto pompa con quella chitarra e con quei pedali. E c’era anche il Liga. E Damien che ha parlato un sacco del suo amore per la mozzarella di bufala (una macchia di colore in questo mondo grigio, come la bimba rossa di Schindler’s list) e del gorgonzola. E poi quando è uscito si è fermato lì con noi, seduto sul marciapiedi a fare due chiacchiere e firmare autografi. Ed era così cucciolo che avrei voluto portarmelo a casa e tenermelo sul comodino.”
Gente, era da tempo che non vedevo simili sinceri brillii di luce causati da un nuovo amore musicale. Dunque sono orgoglioso del mio pusheraggio e del piccolo mostro curioso e insonne che ne è nato.





musica: the show mus…

musica: the show must go on, but…

Democrazia e decisione nei piccoli gruppi (rock)

Ora, immaginate di aver suonato con altre 4 persone per oltre 15 anni in una rock band ruspante. Incisioni zero ma concerti tanti. Il successo di divertirsi e far divertire, un periodo di crescita e di tante piccole grandi soddisfazioni insomma. Immaginatela anche come una storia d’amore, che quello ci vuole per forza per restare insieme in 5 persone durante 15 anni.

Immaginate poi che l’attività del gruppo termini per esaurimento naturale delle energie e che dopo poco si resti in 4, perchè il quinto ci fa ciao ciao poco convinto ma ci precede tutti all’inferno dei musicisti (il paradiso sai che noia) a jammare coi migliori.
Immaginate che ogni tanto gli amici o i gestori dei locali vi sollecitino a una “reunion”. Che voi vi vedete, ne parlate, votate. E siete sempre pari: due contro due. La voglia di suonare l’hanno tutti, sul perché e sul come organizzarsi nessuno la pensa come gli altri. Suonare perché? Dove? Per chi? Come? Cosa? Fare le prove e allestire uno spettacolo per bene (ragione) o lasciare tutto all’estemporaneità e all’emozione del momento (cuore). Precettare un’altra chitarrra solista o suonare in quattro?
Chiudere con “The show must go on” dei Queen o con “The power of love” di Frankie goes to Hollywood?
Ebbene, tutte queste domande si impantanano nel fango del voto democratico.
È allora, è proprio in quel momento che intorno a quel tavolo aleggia l’eco di una risata beffarda che sale dal cuore della terra e puzza di zolfo.

musica: one million …

musica: one million dollar question
What’s jazz (e cosa c’entrano il seme di Ravi Shankar e un ragazzino siculo)?
Stamattina mi sono alzato con ‘sta cosa in testa. Ne uscirà un post lunghino. Cercherò di renderlo abbordabile con spazi e grassetti. Buona lettura.

Non è semplicissimo dare una definizione di cosa sia il jazz e di cosa lo distingua con certezza dalle altre musiche.
Si può guardare all’aspetto tecnico-esecutivo e dire: è jazz solo se c’è lo swing (if it ain’t got that swing). E se ci chiediamo che cos’è lo swing? Well, per swing possiamo intendere una particolare pronuncia della note che accenti i tempi in levare. Troppo tecnico? Bene pensate allo scat, a Louis Armstrong che fa una cosa tipo: |(um) ba-dà-ba-da-bì-ba (um) ppa | bì-do (Um Um) X |…

Uhm, ok pensate al canto scat (non è facilissimo scriverlo in lettere e valori ritmici) o a un walking bass” in 4 che marca per bene tutti gli ottavi e scivola via sullo sfondo della canzone. Oppure alla batteria che fa quel tz-t-tzz tz-t-tzz sul ride.

Insomma, che il jazz (almeno quello classico e moderno) abbia un suo linguaggio e dei suoi codici è pacifico. Però se fosse jazz solo quello che ha swing allora resterebbe fuori parecchio: tutto il free e quello che da lì è nato, il jazz contemporaneo, l’improvvisazione radicale…

Proviamo allora per un’altra via: è jazz quello in cui esistono quote di musica riservate all’improvvisazione. Però che siano sinceramente riservate (non come in politica che si fanno le oasi rosa per eleggere le candidate donne) e che si tratti di vera improvvisazione (non l’assolo da ripetere sempre identico al disco in ogni canzone pop-rock). Per improvvisazione intendiamo la costruzione/composizione istantanea di idee musicali sulla base di una successione di accordi predefinita (l’armonia del pezzo) e di tutte le possibili modifiche/relazioni con il tema portante della canzone. Alt: sull’improvvisazione influiscono anche altri parametri meno musicali: quanto stiamo godendo in quel preciso momento, quanto e cosa si è mangiato/bevuto/assunto nelle ultime ore (non necessariamente cose proibite: si va dal salatino all’eroina, passando per il brasato), quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci hanno spezzato il cuore, se lei ora è presente davanti a noi e via dicendo.


Un’altra via ancora: è jazz quello che ha il “suono” del jazz. Allora basta che vi sia un pianoforte e un contrabbasso (magari una batteria suonata con le spazzole, una chitarra semiacustica) e già ci siamo. Così gran parte di Paolo Conte, del primo Capossela (o il Neffa sanremese) sarebbe jazz. E invece siamo sul terreno della canzone jazzata.

Ancora: è jazz quella musica che fanno i jazzisti. Enrico Rava ospite nel disco di un cantautore cosa suona? Un solo jazz su una canzone pop. Ma cinque pregevoli e affermati jazzisti che accompagnano che so Britney Spears (oddio, che spettacolo sarebbe) cosa fanno? Cosa vince? La canzone (rigida e chiusa), o l’interpretazione e l’improvvisazione?

Ancora: è jazz se è preso dal repertorio jazz. Dalle bibbie degli “standard” che altro non sono al principio se non i temi dei musical degli anni ’30 rivisitate dai bopper nei ’40 e dopo.

Ancora (ma è l’ultima credo): il jazz è interplay. Quel dialogo senza parole in cui chi suona proprone un’idea, un tema, un accento e chi lo accompagna – se sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda – lo asseconda e gli va dietro. E poi se ne scappa lui altrove. E gli altri a rincorrerlo. E via, dialogando senza una parola una.

Dove diamine voglio arrivare? Detto questo, quello di Norah Jones non è jazz. Ne ha spesso il suono (piano + doublebass), ne ha a volte la pronuncia, ne ha a volte il repertorio. Che Norah abbia una sua presenza e un suo stile va da sé. Che sia originale avremmo dei dubbi. Che sia (o che si possa definire jazz) lo neghiamo. In fondo anche Norah è figlia di questi tempi di grandi fraintendimenti e della contaminazione globale. E del caso che ha fatto depositare proprio in una terra di country (in Texas) uno sperduto spermino prodotto dal maestro di sitar di George Harrison e di almeno tre generazioni di hippies, bonghisti e sballoni assortiti. Se il buon Ravi quel semino l’avesse emesso in India, ora Norah sarebbe probabilmente una virtuosa di shahnai o di bansuri.

E Francesco Cafiso allora? Ne abbiamo già scritto in passato (ora non troviamo dove… e però ci salta fuori Urbani, e non è un caso). È un sassofonista siciliano quattordicenne che suona (almeno tecnicamente) come un professionista (è già stato in tour con Wynton Marsalis) e che ieri sera si è esibito all’Ariston. Che dire? Il suo è jazz, non ci sono dubbi: ha eseguito uno standard (Cheeroke) e ha largamente improvvisato. Su quest’esibizione due commenti: l’utilizzo dell’orchestra per accompagnarlo ha fatto solo un gran bordello. I signori maestri sanno suonare ma la sensibilità dell’accompagnatore è altrove (il pianista pestava senza tregua, il piano sovrastava il sax, il tutto era troppo pieno). Allora non era meglio che il ragazzo fosse accompagnato da un semplice trio di musicisti in grado di “dialogare” con lui?

E lui? Penalizzato dal mixing, il ragazzo ha inanellato virtuose acrobazie parkeriane, capriole, salti mortali, tuffi carpiati e altro ancora. È bravissimo, ha suono, agilità e tutto quanto. Quasi. Quante note ha suonato? E di queste quante con la sua anima e quante con la sua tecnica? Quante volte il suo sax ha davvero cantato e “parlato” all’anima di chi ascoltava? Quante volte abbiamo pensato “minchia, ma che bravo” e quante invece non potevamo nemmeno pensare perché la sua musica era una una mano che ci strizzava el corazòn?

Tutto qui. D’altra parte ha solo 14 anni e per quell’età – ripeto – suona divinamente. E poi Charlie Parker diceva: “Prima impara il tuo strumento. Poi dimentica tutto e suona te stesso”. In bocca al lupo, Francesco. Prima o poi avrai un te stesso da farci ascoltare.






















kermesse: Sanremo

kermesse: Sanremo
Contemplativo, no peloso
Prime impressioni: novità sì, ma anche un po’ di lentezze di troppo (i video delle star di Hollywood?).
Ma quanto era che capitava di non sforare? Buoni gli sfottò a Renis, meglio se lo scazzo fosse stato vero però: quest’aria di presunta pastetta ci lascia un po’ così.
Crozza (non intonatissimo ma chissenefrega) bene. Gnocchi bene. “Cirque du Soleil” pazzeschi. Barbarossa bocciato bello.
Cortellesi, we love you, beibi: il pezzo costruito sulle inserzioni dei giornali (opera di Rocco tanica, credo, che non ha seguito gli ELST a Mantova) è capolavoro assoluto. E non l’ho neppure registrato (e il mixing non era il massimo e penalizzava il testo). Urge chiedere a gran voce che venga replicato nelle prossime serate.
Le canzoni in gara vanno riascoltate. E quando dico ascoltate dico proprio ASCOLTATE, con la tv spenta e le orecchie aperte. Quindi la settimana prossima.
E per fortuna che c’è la Gialappa’s su radioDue.







musica, segnalazioni…

musica, segnalazioni: jazz festival 1
Pavia: “Dialoghi: jazz per due” 2004
Andy Sheppard + Rita Marcotulli, Andrea Dulbecco + Luca Gusella, Bebo Ferra + Paolino Dalla Porta, Paolo Fresu + Uri Caine. Questo il cast dei quattro appuntamenti dal 3 al 27 marzo al Collegio Ghislieri di Pavia.
Qui il programma completo e le schede sui musicisti. Gradita novità, l’ingresso gratuito fino a esaurimento posti. Ergo – vi avverto – conoscendo la capienza del posto, vi invito a presentarvi per tempo. Buona musica eccetera anche lì.




musica, segnalazioni…

musica, segnalazioni: jazz festival 2
Piacenza Jazz Fest 2004
Giovanni Tommaso quintet, Enrico Pieranunzi, Franco D’Andrea, Roberto Gatto quintet, Giancarlo Schiaffini, Rosario Giuliani quartet, Steve Turre, Mauro Negri, Javier Girotto, la Finale del Concorso nazionale “Nuovi talenti del jazz italiano”. Sono alcuni dei nomi e degli eventi di Piacenza Jazz Fest 2004, dal 29 febbraio al 27 marzo. Qui il programma completo dettagliato.
Per i musicisti o comunque i più curiosi segnalo ben tre master class gratuite di Girotto, D’Andrea (su Monk), e Pieranunzi (su Bill Evans). Spero di potervene raccontare qui almeno un paio. Non sto qui a entrare nel dettaglio tecnico/storico/musicale/stilistico, ma i profani sappiano che una lezione di Pieranunzi su Evans vale un Tarantino che parla di Sergio Leone per dire del rapporto di filiazione/evoluzione tra i due artisti. (E ben vengano sia i rimbrotti dei cinefili, sia altri paragoni da musica o narrativa o altro che ora – ahimè – mi sfuggono). Buona musica a chi chi la suonerà e a chi la ascolterà e buon lavoro agli organizzatori.



economia: elogio del…

economia: elogio del baratto
Affare fatto
– Buongiorno, volevo un kg di pane raffermo.
– Guardi ho questo qui, le va bene? (È una lei giovane, 130 kg di simpatia al netto delle scarpe).
– Direi di sì… (Soppeso una mattonella granitica) è la prima volta che faccio i canederli…
– Mmm buonissimi… (si è bloccata leggera nell’aria e mi guarda come se mi amasse da sempre).
– Eh… la mia mamma è trentina, ho deciso di rubarle la ricetta…
– Trentino, pugliese, toscano… Guardi a me la pappa piace tutta…
– Beh… (che dire: si vede?) se le va io gliene porto volentieri un paio in settimana.
– Le prometto camionate di raffermo.