Il volume dei volumi
E’ inutile. Io non ce la faccio a buttare via i libri nel cassonetto. Nemmeno in quello della carta. E sistemando in casa emergeranno almeno un paio di scatoloni di libri pressoché inutili se non dannosi. Regali sbagliati, acquisti incauti, allegati a riviste, numeri uno di enciclopedie monche.
Se non mi date altre buone idee, tra un mese scarico tutto alla biblioteca del paesello di montagna.
Voi come vi sbarazzate dei libri? Sempre che o facciate, ecco…
Quanti terabyte tiene un garage?
Io di LP in realtà ne avevo pochi. Perché costavano troppo e li registravo. Quindi avevo quelle centinaia di musicassette sparse. Che qualche anno fa ho portato giù in garage, insieme con quella manciata di vecchi LP.
Poi un’altra volta venne il giorno dei VHS. Mi ero già liberato di tutti i VHS con programmi registrati e sovraregistrati su cassette ormai logore. (Uh, che ridere: qui mi chiedevo se lo smaltimento a mia insaputa fosse causa di divorzio). Avevo tenuto solo i VHS originali. Che qualche anno fa ho portato giù in garage.
In questi giorni mi trovo a fissare pensieroso scaffali e mensole che contengono centinaia di cd audio. Penso al garage. “Quanto manca, pezzo di stronzo?” mi ha chiesto dalla copertina un nero gigantesco con la faccia da bastardo?
E, guardando avanti, verrà un giorno in cui trasporterò in garage qualche centinaio di hard disk? Già, appunto: quanti cazzo di terabyte tiene il mio garage?
Sangue e merda. E urla.
Se niente importa – Perché mangiamo gli animali? Di Jonathan Safran Foer, ecco la mia recensione su aNobii
Un libro splendido e terribile. Ficcante e documentato come un’inchiesta di Report, raccontata e vissuta in diretta dalla voce di un grande scrittore. Forse è questa la chiave della sua efficacia: grande scrittura messa al servizio di una grande denuncia. Uno stile di scrittura netto e affilato, ma mai freddo, anzi.
Questo libro è sangue e merda, che schizza in giro mentre lo leggete. E schizza soprattutto nei vostri piatti. Difficile far finta di non vedere, dopo che l’avete letto.
Difficille far finta di non sentire le urla. Le urla degli agnelli.
“Vero Clarice?”
Io e il telefono rosso
Com’è noto io qui non scrivo tanto spesso del mio lavoro. Forse un po’ perché nel mio lavoro scrivo già abbastanza.
In realtà ultimamente scrivo più spesso qui del mio lavoro, com’è più giusto che sia.
Però ultimamente, in un ultimo pindarico volo da free lance, mi sono occupato di assicurazioni e non l’avevo mai fatto.
E ho scritto tutto un sito. Tutto dalla a alla zeta, passando per l’acca, la ti, la emme e la elle.
E già queste sono due notizie, che mi pareva il caso di dare.
L’azienda la conoscete tutti, qualunque sia la vostra assicurazione: è quella del telefono (e del mouse) rosso.
Non si tratta di un lavoro particolarmente creativo, ovviamente. Ma è un buon lavoro, quindi io me la posso pure tirare un po’.
Tra l’altro, avendoci lavorato a Carnevale, vi informo che il nuovo sito di DirectLine concorrerà al premio “Miglior sito web scritto indossando copricapi originali”.
“Terra in bocca”: tutta la città ne parla
Di Skellig io non vi dico nulla
Io di Skellig non sapevo nulla e l’ho visto in libreria. Probabilmente mi ha convinto il suo blurb (avvolgente fascetta promozionale). Mi ha così convinto che non ho neppure letto la quarta di copertina. Meglio così. Comincio a pensare che non dovrei mai leggerle. E anche al cine: che dovrei andarci vergine, senza informazioni se non l’intuito, un parere di qualcuno di cui mi fido, ma senza sapere niente della storia.
Così Skellig, siccome di libri ne compro troppi, l’ho cercato in biblioteca. Insieme ad altri 5 titoli 10-12 anni, che è l’età del lettore che mi sento io questo mese.
Quando mi hanno segnalato che Lavale “Mamma per sbaglio” ne aveva scritto in un post, ho pensato che anche quel post l’avrei letto dopo.
(Apro una parentesi su LaVale. Ebbene lei è stata la prima mamma blogger che ho scoperto e senza mezzi termini adorato. Per come scriveva, per cosa scriveva, per com’era. Ma si tratta di anni fa. Quando ancora le mamme blogger erano solo delle blogger che si erano riprodotte e non come ora una categoria commerciale, un segmento di mercato, un target del mio lavoro).
Ma torniamo a Skellig. Ci ho messo poche ore a leggerlo. Un paio di giorni di andata e ritorno: casa bici treno metro ufficio e vicevera. In bici non lo leggevo. E un po’ mi mancava. In metro all’altezza di Corvetto ho benedetto il momento in cui non avevo letto la quarta di copertina. Il giorno dopo all’altezza di Cadorna, su Skellig mi è sceso un gocciolone salato che per fortuna che questa estate piove e non se n’è accorto nessuno.
Ora so che ha ragione Lavale. O meglio che ha ragione suo figlio Davide, che gliel’ha consigliato. Che ho fatto bene a leggerlo senza sapere nulla della trama. Che forse lo stile è bello quanto la trama.
Che se dovessi consigliarvelo non vorrei dirvi nulla. Se avete fame di una storia e avete (o volete sentirvi) 10 anni: Skellig, di David Almond. Punto. Senza link. Apposta. Buona lettura.
Narrazione e immedesimazione
L’unica volta che mi sono messo a scrivere un racconto di paura, mi stava venendo così bene, che a metà ho dovuto smettere perché avevo una paura fottuta.
Mi succede anche coi racconti erotici. Ma lì smettere è più divertente.
Educazione cessuale
In questi giorni, coi nonni uccelli di bosco e mezza famiglia al mare, io mi occupo di due case (una fuori città), un’auto (non mia), un felino di 8 kg (non mio), una figlia di anni 8 (mia). Quindi faccio cose per me piuttosto inedite: annaffio il giardino, scelgo i vestiti per l’indomani con Alice, spalo cacche feline, firmo il diario. E poi ovviamente cucino (stasera wurstel o carne in scatola?), vado alle riunioni all’asilo (e torno con 7 pagine di appunti) e mantengo il decoro della famiglia (ti sei lavata la faccia?).
Intanto Lady Burp sta al mare con Viola, in trincea, assistendola in una conquista di progresso ed emancipazione: la definitiva liberazione dalla comoda schiavitù del pannolino, l’educazione cessuale, appunto.
Ricevo aggiornamenti via sms: “giorno 1: oggi 15 pisciate sul pavimento e una al parco giochi”. “Giorno 1 sera: sospetta palletta marrone rinvenuta pavimento terrazzo. Merda?”
Stanno entrambe facendo un gran lavoro. Io però preferisco spalare merda felina, grazie.
Intanto, come di fronte a ogni novità io approfitto del mio nuovo status (che è una parola antica che esisteva anche prima di Fb eh, raga) per lanciare una nuova sfida a me stesso e verificare i miei limiti e i miei progressi di essere umano e genitore. Per esempio scopro che sono bravissimo a tenere in disordine due case contemporaneamente. Che non so abbinare i leggins con le magliette. Che non ho ancora imparato a fare la coda ai capelli.
Alla sera, a volte guardo un film. Cioè mezzo. No, meno. E mi capita di pensare: “Fortuna che non ho un marito a cui dire che ho mal di testa.”
Il Mondo
Oggi sistemavo le foto e di fronte a questa ho pensato subito a Buba. Il primo fotoblog che avevo scoperto e che mi faceva innamorare ogni giorno di un dettaglio, di una citazione, di una prospettiva. Mi incuriosiva e mi stimolava l’aggiunta delle citazioni. Mi incantavano soprattutto le foto coi bimbi. Quando leggevo (e citavo) Buba, non avevo ancora nemmeno una digitale. Ma ero già babbo e sapevo che un giorno avrei fotografato anche la mia di prole. Non pensavo di avere una prole così fotogenica, ma quello non è merito mio, non solo almeno.
Invece quando scatto una foto, dietro c’è sempre un po’ di Buba. Anche se poi io magari ci metto qualche anno a scoprirlo.
Buba’s portraits on Flickr.