Il bello di Seridò

Il bello di Seridò

è che non è un parco divertimenti e non è uno spazio fieristico.

è che la fatina federica mi ha omaggiato due biglietti e così l’ho scoperta Seridò

ma è femminile seridò?

(a federica ho promesso che l’anno prossimo ne scrivo prima dell’evento e magari le addito anche quelle 5-6 mammeblogger opinion leader da invitare…)

è che è grande parecchio. Il 1° maggio si stava stretti perchè c’erano 30mila persone. Ma io sono andato il 3 maggio tiè.

è che ci sono centinaia di spazi per giocare grandi e piccoli e medi

è che non c’è nemmeno una playstation, né un monitor, né cose simili (da cui è bene ogni tanto disintossicarsi)

è che ci sono anche gli spettacoli teatrali

è che c’era “libera un libro”, un childbookcrossing

è che ci sono i gonfiabili più grandi che io abbia mai visto

è che gli animatori, addetti ai giochi e custodi della salute dei pargoli, sono un mezzo esercito (numerosi, attenti, premorosi) e si vede che sanno il fatto loro

è che alice è arrivata seconda (dietro un 15enne eh) nella gara di monopattino

è che io ho costruito una torre alta più di me (e quindi più di Leo Messi e di “papi”, per dire) con i legnetti che una volta si usavano nel parquet

è che se avete prole di età compresa tra 1 e diciamo 10 (secondo me un dodicenne ha altro per la testa) o se vi sentite voi un’età simile, potete passarci una giornata mai noiosa

E ora devo fare ammenda. La prima volta che ho udito parlare di Seridò è stato un 2-3 anni fa. Quando venne stata scelta come destinazione di gita all’asilo suoresco di Alice. Con cui – da laico – avevo rapporti cordialmente scettici, molto più di quando 38 anni fa lo frequentavo quotidianamente. Io non andai a quella gita e amen: continuai a pensare che non valeva la pena andare a questo “raduno di scuole cattoliche” (ma chi cazzo me l’aveva descritto così?)

Grazie zia Fede.
Ci si torna di sicuro l’anno prossimo a Seridò.

(grazie a Simone Capretti per la foto)

C’era una volta la carta assorbente

Leggo bartezzaghi su Rep a proposito di internet e scuola del futuro. a un certo punto leggo l’espressione “carta assorbente”. Penso pennino. Penso stilografica. Cerco di spiegarlo a mia figlia. Che mi guarda strano. “no, non in bagno per asciugarsi le mani ti dico, in classe per asciugare le parole, sulle pagine, l’inchiostro…”
Ecco, hai presente Abatantuono in Marrakesh Express “noi siamo gli ultimi ad avere i ricordi in bianco e nero”? Ecco, io ho usato la carta assorbente.

La piccola officina delle storie

– Ogni giovedì, il maiale fa apparire un prosciutto.

– In autostrada, la commessa affetta l’estate.

– Sotto terra, la neve innaffia il cielo.

Questo libro di Bruno Gibert, l’ho regalato alla settenne che – componendo le storie, semplici ma sempre diverse – si diverte un mondo e oggi l’ha portato a scuola per mostrarlo a tutti.

Ottimo anche per introdurre minimi elementi di analisi logica (ma si fa ancora a scuola poi l’analisi logica?).

Ottimo anche per innescare fantasie narrative: il maiale di qui sopra è ovviamente un genio che conserva la sua vita grazie alla prestidigitazione.

O poetiche: la commessa è una casellante? O è la commessa di un autogrill in cui sta per entrare… Francesco Guccini? C’è qualcosa di più malinconico che… affettare l’estate?

Il blog da aggiornare e il maggiordomo che incombe

Prima o poi troverò un giusto equilibrio. Però a quelli che leggono questo blog e si chiedono come mai io scriva così poco, una delle risposte è questa, banale ma verissima: perché non è più questo l’unico posto in cui scrivo.

Molte cose le metto direttamente qui su FriendFeed.

Credo sia stato Akille a scrivere per primo “se il blog muore, il maggiordomo è FriendFeed”.

Anzi, già che ci siamo, ricordatemi di mettere l’accrocchio apposito sotto ogni post che rimanda ai commenti in FF.

Ok, non fare quella faccia da punto di domanda. Consideralo un post-it per me.

Omaggio a Zappa a Milano al Café Fermento

E’ un annetto abbondante che manchiamo da Milano con questa band. Nel frattempo abbiamo licenziati – a malincuore – i cinque fiatisti e arruolato due ragazze che si occupano di cori, vocine e… gemiti. Ebbene sì, anche gemiti: il finale di Dina-moe-hum col gemito di Laura è un’esperienza… appagante.

Suoniamo sabato 18 al Cafè Fermento di via Angera, zona viale Lunigiana, Stazione Centrale. No, non è il Fermento, quello delle jam, no: è l’altro.

Amici milanesi che vi lagnate sempre della lontananza dei miei concerti pavesi, vi aspetto lì. E non fate quella faccia se dico Frank Zappa, non fatevi spaventare, è un concerto di rock e soul, con qualche vaga schizzata di jazz. In buona sostanza: it’s only rock ‘n roll, and you like it!

Qui trovate l’evento su Facebook, poi il mese prossimo giochiamo in casa il 22 maggio sul palco di SpazioMusica a Pavia.

CINESTESIA: l’Inferno sullo schermo

Martedì 21 aprile (non martedì questo come frettolosamente scritto prima che Anna -grazie- nei commenti mi facesse notare la svista) ci riprendiamo dalla pasqua con l’Inferno dantesco del 1911.

Sul palco pavese di Spaziomusica, insieme ai bluEsForCe, l’ospite sarà Alberto Greguoldo ai sassofoni.

Apuntamento alle 19.30 per l’aperitivo.

Alle 21.00 parte la proiezione.

Cinestesia è anche una pagina su Facebook.

La premessa che segue è trascurabile

Patti chiari. Tutto questo per dire che domani sera, giovedì 2 aprile suono a Pavia, al Senatore in c.so Mazzini. In jazztrio con la sezione ritmica. Dalle 21.30 in poi.

Però pensavo che ultimamente questo pianoforte del salotto lo suona più Viola di me. E non ci sarebbe nulla di strano se non che lei ha 15 mesi e non fa per ora concerti in giro.

Suonare meno, suonare poco, suonare zero significa una cosa sola: perdere la mano, la tecnica, la velocità. Sono tranquillo: tutte cose che non ho mai avuto, oh yeah.

Sì, perché io la penso così: c’è chi ha la tecnica e chi ha delle cose da dire. Quelli che hanno entrambe diventano gli dei: che so Jarrett o Bollani, per dire. Io questo rischio non lo corro. Ma le cose da dire, nel mio piccolo, dietro a uno strumento,  non mi sono mai mancate.

Continuando di questo passo, suonando sempre meno in casa, studiando zero, lasciando che manine (e piedini) prendano possesso dei miei tasti, avrò fatalmente sempre meno tecnica. Ma sempre più cose da dire. Quindi – portando il ragionamento alle sue estreme conseguenze – verrà un giorno in cui farò, da vecchio, un concerto magari l’ultimo, un concerto un po’ speciale.

In cui suonerò solo una nota.

Ma così grossa e così rotonda, ma così spigolosa e sottile, che ogni ascoltatore ci sentirà dentro tutto il mio mondo di cose da dire. E naturalmente, tutto il suo.

Ma questo accadrà tra alcuni decenni, non prima. Domani invece, pavesi e limitrofi, ci vediamo al Senatore.

“Un party Fit&Chic? E tu cosa c’entri?”

Come sapete non scrivo molto spesso del mio lavoro qui. A volte, faccio delle eccezioni.

Come sapete bene voi che mi conoscete online e offline, io da sempre pratico il fitness e appena posso frequento ambienti chic! Ebbene sì: la mia pancetta da bevitore sedentario e il mio guardaroba (a la page fino al 1989) non fanno testo. Parlo della mia vera e intima natura, non della maschera che indosso tutti i giorni.

Per questo domani con assoluta naturalezza mi dividerò tra l’inaugurazione di un villaggio fitness e un successivo party esclusivo con vips: domani sarà appunto la mia giornata Fit&Chic.

Quindi, non date retta a mia moglie, il cui stupore intitola questo post.

Ora però a nanna, ché proprio Lady Burp da un mese mi aveva fissato all’alba di domani il primo appuntamento della giornata:  alle 7.10, col mio vertebrologo di fiducia.

Le parole per quando (non) è morto tuo padre

– Oh ma è morto il padre di TiziaSempronia? – mi dice la email di un’amica.

Ecco, mettete al posto di TiziaSempronia il nome di una blogger molto nota che conobbi prima della di lei fama e mettetevi nei miei panni.  Io vado a leggere il post che evidentemente è un post a lutto e nella nebbia dei lucciconi cancello il punto di domanda dubbioso della mail ricevuta. E’ evidente che è così, cazzo, poverina.

Le scrivo. Non subito però. La lascio macerare un po’, questa sensazione. Così quando le scrivo mi trovo a dirle delle cose che ho pensato quando se n’è andato il mio, di babbo. E mentre le scrivo capisco che da fuori sembrano banali. Cioè che sono le stesse. Che mi sembravano banali. Prima.

Ma ‘mo, banali non suonano più. E glielo spiego, mentre lo capisco, nella email stessa.
Una breve email. Due lettori presenti. Due assai probabili lettori assenti.
Qualche cleenex.

Lei mi risponde, ringrazia. Ha avuto un lutto, sì. Ma suo padre sta benissimo.

Azz.

– Ok, spiegagli al tuo babbo che ‘ste cose allungano la vita.

41, 38, 32, 21 (scarpette e bacinbocca)

Ben due paia di scarpe da ginnastica nuove numero 31 acquistate oggi torneranno tosto alla Decathlon perché il piede della settenne non ci entra.
Ergo passiamo alla scarpa numero 32.

Leggera inquietudine. Solo 6 numeri la separano da sua madre. Domani questi me li gioco: 41, 38, 32, 21.

Un quarto d’ora dopo, a tavola.

– Papi… che schiifo oggi mentre la maestra non guardava Leonardo mi ha baciato in bocca, che schifo…

(Non pensare alla lingua, non dire la lingua, non chiedere della lingua, non!)

– Ma… Ali ma un bacio… così pciusmack? E tu e tu cos’hai fatto?

– Sì, certo. E io prima gli ho dato un calcio e poi l’ho detto alla maestra…

(pfiuuu, yeah, ben gli sta)

– … che ha detto che se non la smette gli fa saltare il saggio di teatro!

(tiè)

Poi mi viene il dubbio che a casa di Leonardo, il suo babbo la veda un po’ diversamente (evvai Leo, dammi il cinque).
Dura essere babbo di due femmine.
E siamo solo all’inizio.

Anzi no, siamo già al 32.