Papi, ma perché…? (ep. 1)

– Papi, ma come fanno i cinesi a essere così bravi negli sport? Soprattutto se poi vedono tutto sfocato perché hanno gli occhi a madorla, no?
(Ok, dai questa la so: vi risparmio la risposta).

– Papi, ma secondo gli scienziati come sono nati i paesi del mondo? Cioè, perché secondo la Bibbia è stato nella storia della torre di Babele.
(Ahem, risposta un po’ lunga ma me la cavo. E ripenso a un bel libro  (“Breve storia del mondo”) che in futuro potrebbe esserci utile.)

– Papi, ma se uno si comporta male – ma non un bambino, un signore dico – e poi muore proprio il giorno del suo battesimo dove va? Inferno, Paradiso, Purgatorio o quell’altro posto che avevi detto e che non mi ricordo come si chiama?

Dopo una breve discussione a cavallo tra religione, diritto penale, Divina Commedia, è lei stessa a disegnare meglio i dettagli della fattispecie in questione: immaginiamo un adulto che, appena battezzato, uccide il battezzante e muore.
A questo punto ho pochi dubbi: Inferno sicuro, le dico.
(Già che ci siamo, questo me lo chiedo io: ma se nel Limbo Dante ci piazza tutti i non battezzati, cazzo ci fa poi il tormentato Ulisse al Canto XXVI?)

Post dell’acqua blu (o della rivalutazione di Morgan)

Probabilmente se mi avessero detto che alle Regole di Malosco – lì sullo stesso prato verde ove implume giovanetto mi sfiancavo in gelide sciate di fondo e duelli calcistici chiusi dal tramonto e ove ora esibisco solo la mia villosa flaccidia – era in programma un concerto di Suoni delle Dolomiti, non ci avrei creduto. Però poi c’era per davvero.


Trattandosi poi di concerto di Morgan, volendo uno potrebbe anche chiedersi cosa c’entri con un cartellone zeppo di jazz e di contemporanea. (Oggi per esempio ci sono Magoni e Spinetti, ma mannaggia è troppo lontano.) E poi io non conosco nemmeno una canzone di Morgan. Non ho mai neppure ascoltato il suo disco “L’appartamento” che un amico mi ha regalato anni fa. Ma forse ora sarebbe il caso. Io sono uno di quelli che pensano: cazzo, ora pure Morgan mi tocca a rivalutare?

Update1: gran parte del concerto si trova su youtube. Ecco la canzone di cui si narra dopo.

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Free climbing

Al compimento dell’0ttavo mese, Viola sfoggia due incisivi inferiori, abbozza quelli superiori e mostra di essere una ragazza decisamente coraggiosa e intraprendente. Qui la vedete a mezzavia di un’arrampicata libera sulla scala di casa. Impresa completata con successo nei giorni successivi, nonostante il frastuono ligneo di alcune cadute non letali.

Sui monti

Ops, avevo così fretta di partire che mi son scordato di salutare.

Fino al 24 agosto siamo in montagna, al solito posto in Val di Non, nella vecchia casa – appunto – dei non(ni). Se siete in zon, manifestatevi.
Se ribecco lo stambecco, ci vado a funghi. Non so se e quanto e cosa posterò. Però vi auguro buonissime vacanze, a tutti, di cuore.


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A te che le somigli un sacco, ma non sei la stessa

Premesso che le idee girano, che la musica è nell’aria e che le note sono 12 (e non 7) e moltissime delle loro combinazioni sono già state usate e abusate, premesso che il difficile è essere semplici e popolari ma non banali e beato chi ci riesce, premesso che tutto il mondo dei non addetti parla di plagio quando glielo dice Striscia o quando riconosce quei due accordini in croce che gli hanno imparato all’oratorio (ai tempi in cui si diceva la parola barrè), premesso tutto questo ora devo assolutamente fare una pausa, un respiro, un punto.

E poi chiederti: ma secondo te, se uno copia consciamente una canzone, di questi tempi come può credere di scamparla? Eddai, mi riferisco a questa storia qui, di Jovanotti che avrebbe copiato il pezzo “A te” allo spagnolo Sanz.

E poi: solo uno scemo copierebbe dalla stessa canzone sia il giro armonico, che il senso del testo, che l’atmosfera che il riff strumentale.

Ce lo insegnano a scuola che copiare è cosa necessaria. Ispirarsi, reinterpretare, rendere omaggio, parafrasare, prendere in prestito, mescolare, agitare bene gli spunti presi qua e là e via: ecco il nostro tema. O testo di canzone. O post del blog, suvvia.
Ché tra un artista vero e uno finto, spesso la differenza è solo che il primo sa copiare in modo intelligente. O no?

La nostra Delorean*

Non so voi ma io da bambino ero perennemente diviso tra due desideri impossibili.

– Quello di diventare invisibile. (Più tardi questa fantasia si sarebbe collegata allo spionaggio nel bagno delle femmine).
– Quello di viaggiare nel tempo. (Più tardi questa fantasia si sarebbe collegata allo studio dell’evoluzione storico sociologica del bagno delle femmine).

Ieri Alice mi ha mostrato il suo ultimo disegno, che più che un disegno è un vero e proprio progetto.
Ci sono un sedile, alcune righe colorate (i fili dell’energia per viaggiare) e alcuni piccoli oggetti. “Punte di freccia, una statua egiziana, un elmo da guerriero, una mela d’oro, la penna di un indiano”. Mi ha spiegato che collegando la corrente ai piccoli oggetti antichi, la macchina ti fa viaggiare – seduto comodo – fino al tempo di quegli oggetti. “Bisogna però essere sicuri che siano veri davvero, sennò finisci nel tempo in cui li hanno fatti finti.”

E mentre io pensavo che accadrebbe mettendoci dentro il 45 giri di My Sharona per tornare alla festa delle medie (possibilmente nel bagno delle femmine) lei mi ha riportato alla realtà: “Ora, papi, mi devi aiutare a costruirla davvero.”

* Ah, già che ci siamo: la Delorean esiste.

Still crazy

Estratto conto alla mano, finisco di spiegare a Lady Burp, altrimenti detta Lady Mani Bucate, che dobbiamo… ahem… stare un po’ attenti alle spese… futili, faccio a tempo a incassare lo sguardo con cui maledice me e un intero albero genealogico di “braccini corti”, che mi arriva l’sms di fratel Teo.
“Ti ho comprato ticket x Paul Simon Arena. Ricordi? Vuoi mica pakkare?”

– Problema 1: cosa avrà in mano lei stanotte quando rientrerò a casa (randello, mattarello, frusta a 88 corde: quelle del mio pianoforte mutilato).
– Problema 2: cosa regalarle per farsi perdonare. (E già che ci siamo dichiaro aperto con ampio anticipo il concorso annuale: cosa regalo a mia moglie al suo compleanno?)

Anno 2048 – Il nonno

– Che hai da sbuffare?
– Mmmm sono stata dal nonno, cheppalle, mamma è sempre più rinco…
– Evabbè, su, ha la sua età, che ti ha raccontato stavolta?
– Musica. Di quella volta che era stato dal suo amico batterista, quello più anziano di lui che aveva una collezione di vecchi vilini e hanno…
– Vinili, no vilini.
– Sì vabbè come vuoi e insomma hanno passato la notte a sentirli ‘sti vinili e che emozione … uff tanto che poi lui alla fine quando è andato a casa voleva fare…
– … un post sul suo blog, ma si è dimenticato, classico. E gli ritorna in mente ora, a 40 anni di distanza.
– E poi la solita solfa su com’era vera la musica una volta e prima di queste porcate che vi infilano in corpo ora a voi giovani… E sempre agitando il moncherino del dito, che schifo che mi fa quando si leva la protesi…
– Pazienza. Ci vuole pazienza, è anziano e con tutto quello ha passato è ancora piuttosto presente.
– Mamma ma tu te li ricordi gli mp3?
– Sì, abbastanza. Ero piccolissima ma tuo nonno mi caricava il lettore ogni settimana.
– Che scomodo, portarsi dietro quei cosi no? E doversi infilare quei cosi nelle orecchie. Mamma ma è vero che tu sei nata senza il dito-USB e l’automusiquarz? E che il nonno si è tagliato il dito per protesta?
– Ma che curiosa che sei oggi, perché non mi prepari un caffè intanto?
– Ed è vero quello che dice la zia Alice che il nonno scriveva sul suo blog tutti i cavoli suoi in pubblico?
– Beh… sì. Ma tutti tutti no. Appena la zia ha capito, gli diceva solo quello che voleva che lui scrivesse.
– La zia dice che anche tu avevi un blog…
– Ma tesoro, ma tutti l’avevamo. Fino agli anni ’20, almeno. Io facevo le medie quando è successo.
– Che li hanno messi fuori legge dici?
– Sì. Allora questo caffè?

Trem das onze (Stefano Bollani – Carioca)

Ci sono canzoni che ogni tanto ti si attaccano addosso e ti fanno una gran compagnia. Ho deciso che ogni tanto ne metto qualcuna qui.

Questa “Trem das onze” la trovate su Carioca di Stefano Bollani (toh, un’intervista). Ma i meno giovani la ricordano cantata anche dalla banda Arbore anni fa (Pascalino tu). E i meno meno giovani se la ricordano cantata da Riccardo Del Turco nel 1969.

Carioca lo trovate alla Feltrinelli (o dovunque credo) a meno di 10 € ed è, per rapporto qualità-prezzo, il miglior viaggio in Brasile che vi potete fare ora come ora su due piedi. C’è dentro il samba e c’è anche il choro, che è un suo zio e c’è anche la valsa che è una sua prozia o cugina insomma. Inciso in Brasile quasi due anni fa con una band mista di fior di indigeni e i due fiati dei Visionari, Nico Gori e Mirko Guerrini. Dentro il disco c’è Bollani che risplende come al solito, inventando e scomponendo, armonizzando secondo e contro natura con gusto e semplicità, giocando con tutto e rispettando tutto. E ogni tanto corre bendato a fari spenti sulla corda tesa e spara i fuochi d’artificio (Tico Tico).

Questa Trem das onze l’ha scritta un certo Adoniran Barbosa, all’anagrafe Joao Rubinato, brasiliano sì, ma di genitori veneti. Il problema del protagonista è che – in quanto figlio unico – c’ha la mamma a casa che lo aspetta insonne. Ergo: altro che baci e pomìci fino a mezzanotte, ti tocca il treno delle undici, avanti, saluta la fidanzatina.

Qui Bollani se la suona e se la canta, prima in portoghese e dopo il solo in italiano. Io gli credo quando dice  che ha finito per suonare il piano, ma aspirava a fare il cantante.  E – santuomo benedetto dagli dei – gli viene bene anche il canto puro, anche senza nessuna intenzione buffa o ironica.

Ecco tutta ‘sta spataffiata per dirvi che io di questa canzone qui, della sua allegria malinconica, del suo sapore, di ogni piccola invenzione armonica sempre diversa, io da una ventina di giorni non riesco a farne a meno.

Trem das onze

Não posso ficar nem mais um minuto com você
Sinto muito amor, mas não pode ser
Moro em Jaçanã
Se eu perder esse trem
Que sai agora às onze horas
Só amanhã de manhã
E além disso mulher, tem outra coisa
Minha mãe não dorme enquanto eu não chegar
Sou filho único
Tenho minha casa pra olhar
Sou filho único
Tenho minha casa pra olhar

PS: Siccome sono certo che dopo aver letto questo post, il cd ve lo comprate almeno in 5 o 6 – vero? – posso star sereno che la casa discografica ne sarà felice e dunque non mi chiederà di togliere la canzone dal blog. Augh, ho detto.

Zoperitivo: jazz in terrazza nel tramonto color lavanda

Ebbene, l’aperitivo zopiano è andato ottimamente.

Ma è tutto merito della stradale che ci ha fermato appena usciti di casa, alle porte di Pavia, rinfacciandoci (giustamente) la mancata revisione del mezzo guidato dal prode Mariano. Una volta superato quell’ostacolo – ottenuto dunque dalla madama il permesso di circolare fino alla mezzanotte pena la perdita della scarpetta civile e l’irrompere dell’anfibio penale – era chiaro che potevamo affrontare chiunque: ghisa, cariba e metronotte per intenderci. E due musicisti che strappano un permesso per circolare e promettono il rientro a mezzanotte sembrano una barza. E invece è vero, trattandosi di aperitivo.

Ottimo e abbondante quindi l’aperitivo zopiano, con chiacchiere, strette di mano, risate e progetti. E ovviamente da bere e da sgranocchiare. E noi a costruire del caro buon vecchio sottofondo elegante. Salvo poi al calar delle tenebre dare una scrollata al volume e sciogliere un po’ il groove uscendo per un paio di pezzi ben rimasticati dal ruolo di sottofondo. Via lo smoking insomma, cinque minuti di biscrome, sudore & zanze.
Ovviamente scaletta a tema: Zopology, Girl from zopanema, Zopalgia in Savona square, Zopame mucho e via così.
Grazie un sacco a chi c’era (Lele, Paola, Fabio, Lofa) e in particolare grazieassaje a Kika che ha fatto foto e video (color lavanda), che era la prima volta che ci si incontrava dal vero e l’incontro è stato benedetto da uno scatto in cui riluco di una bellezza non mia.

Vorrei dirvi anche che:
– Viola non solo gattona, ma stanotte ha persino emesso uno spigolo di dente
– com’è strano in treno addormentarsi a Sanremo (ore 5) e svegliarsi a Milano (ore 9)
– cosa dovreste fare voi, se milanesi e avete la serata libera: andatevi all’arena a sentire Stefano Bollani “brasiliano” (che io non posso perché ho le prove zappiane) e domani quando vi posto “Trem das onze” voi sapete di che parlo.