“Papà, ricordati che mi devi 20 €!”
Quando Genitori Channel mi ha invitato a un incontro sul tema bimbi e denaro ho pensato un po’ di cose che riguardano la mia famiglia attuale. E la famiglia da cui arrivo. Ho pensato che i miei nonni erano entrambi commercianti. E che i miei genitori invece erano entrambi insegnanti: statali, posto fisso, zero spirito imprenditoriale e una certa ricambiata antipatia per tutto quel che riguarda banche, investimenti, assicurazioni, burocrazia e scartoffie. In genere, dicono che in queste cose legate a predisposizioni ed ereditarietà varie, si salta una generazione, ebbene io no: io sono come i miei genitori.
Per questo sono andato molto volentieri a chiacchierare con altri colleghi genitori (tutte mamma, as usual) e gli esperti di PattiChiari, EconomiAscuola. Read More
Alla Libreria dei Ragazzi, con Gek, Bernard e Giusi
Io e Alice sabato siamo stati a Milano per uno degli eventi del 40° compleanno della Libreria dei Ragazzi.
Lei alla Libreria ci era già stata una volta da piccola per uno spettacolo di Quelli di Grock. Io centinaia di volte in pausa pranzo quando lavoravo lì accanto.
Stavolta avevamo ottimi motivi per non mancare: c’erano due artisti che seguiamo e amiamo parecchio: Gek Tessaro a teatro con “Il circo delle nuvole”, e poi Bernard Friot (con Giusi Quarenghi) in libreria.
Ora, io potrei spendere molte parole per descrivere gli spettacoli di Gek Tessaro con la lavagna luminosa. Finirei un po’ per ripetere le cose che scrissi qui sul blog, quando lo vidi la prima volta. Questo signore fa dei disegni animati nel vero senso – “istantaneo” – della parola. Gek restituisce dignità da protagonista a una semplice lavagna luminosa di quelle che non si usano più. Ci lavora con diverse tecniche e materiali, si accompagna con parole in rima e con la musica. Gek racconta delle storie: divertenti o malinconiche, mai banali, con dentro una vagonata di fantasia, tanta leggerezza e della sana, sanissima poesia. Ora io potrei spendere molte parole ma le uniche che dovete ascoltare sono queste: andatelo a vedere, Gek Tessaro, portateci i vostri bambini, di ogni età (compresi voi grandi, intendo).
Lettere d’amore (1)
Tempo fa, una mia amica mi ha inoltrato una mail ricevuta da un corteggiatore.
“Zio, che ne dici?”
L’ho letta e le ho chiesto: “E questo da dove esce? Voglio dire, che mestiere fa?”
Risposta semplice: il programmatore di computer.
Ecco, le ho detto: “Questo è il programmatore di computer più bravo a scriver d’amore che io abbia mai incontrato. Non fartelo scappare”.
Stanno insieme a da più di un anno.
Scopano come ricci.
Rapp-orto n. 3. Non tutto è morto nell’orto.
Sembra ieri ma è trascorso un anno da quando ho iniziato a coltivare il balcone.
Ormai anche i familiari hanno capito che non si tratta di un’infatuazione passeggera. Non sarà un’avventura, no, né soltanto una primavera.
La porzione di balcone occupata dai miei vasi cresce a ogni cambio di stagione. E il mio sapere agricolo, cresce lentamente, a un ritmo molto diverso dalla velocità con cui si legge un libro. Cresce con l’esperienza e le stagioni.
Intanto, qualche settimana fa ho conosciuto il gelo. E se è vero – ed è vero – che l’orto ci serve anche per “imparare” noi stessi, ecco, io personalmente non avevo mai conosciuto nessuno ucciso da gelo.
Nessuno prima delle mie cime di rapa.
Gli spinaci invece hanno resistito.
La Provincia Pavese: stasera “Per sempre coinvolti”
Grazie alla Provincia per lo spazio e il bell’articolo di Marta.
La foto di Tinez è doppiamente significativa perché, insieme a Matteo, ritrae anche Ellade Bandini, “professione batterista”, uno dei musicisti storici di Fabrizio de Andrè (e di tutta la musica italiana di qualità), con cui abbiamo l’onore e il piacere di suonare nel progetto “Terra in bocca”.
Per sempre coinvolti: con De Andrè a Spaziomusica
Sì, perché noi da 3-4 anni in questa stagione ci inventiamo un concerto per celebrare De Andrè. Siccome di far sempre lo stesso repertorio ci stufiamo, allora ogni anno, nuova formazione e nuovo repertorio. L’anno scorso fu l’idea di riproporre integralmente “Storia di un impiegato“. Quest’anno si è scelto un percorso dedicato alle figure femminili (da Franziska a Teresa, da Giovanna d’Arco a Le passanti, da Dolcenera a un’infante chiamata Maria, ecc.). Un percorso valorizzato anche dalla presenza di ben 4 ragazze sul palco: una al violino e tre alle voci.
Ok per non farla troppo lunga, segnatevi giovedì 16 febbraio. Noi vi aspettiamo a Spaziomusica, a Pavia. Si suona alle 22.30. Vi conviene prenotare, se siete comodi pure scrivendo a me.
Il piatto da pizza e l’acquapark
La vita delle stoviglie, ci avete mai pensato?, non è propriamente dinamica e avventurosa. Anzi la vita delle stoviglie è in realtà piuttosto noiosa. La vita delle stoviglie è, se mi permettete, una battuta, decisamente piatta.
Come dite? Dovevo fare il comico, vero? Naa. Io sono contento di quello che sono. Mi chiamo Paolino e sono un piatto.
Ma sono un piatto speciale. Non un piatto semplice, di quelli che si usano tutti i giorni, no. E nemmeno un piatto speciale da grandi occasioni, di quelli che si usano una volta l’anno. Ho due cugini e un nonno che fanno quella vita e passano l’anno a dormire in un armadio, vivono su una tavola e si sentono utili solo a Natale, cose da matti. Io non ce la farei. Read More
Io e le mesturazioni (tra ortografia e tempi dei verbi)
Pubblicato su Style.it il 10 giugno 2011.
La prima volta che ho sentito nominare le mestruazioni c’era un errore. E anche l’ultima. Nella prima l’errore era di ortografia, nell’ultima l’errore stava nel tempo del verbo.
Il mio amico Sandro aveva due fratelli più grandi, e quindi del sesso sapeva praticamente tutto. Avevamo 8 o 9 anni quando prese la parola, un giorno a Ticino, per spiegarmi le mesturazioni. Le chiamò così, imprimendomi nella mente il gesto di quel mestolo che rimesta tra gli ormoni. Lo corressi, e lui che era abituato a essermi maestro non ci volle credere.
Scommettemmo. Consultato il vocabolario, vinsi un cornetto al bar dell’oratorio. Tiè. Io sapevo come si diceva, perché mia mamma me ne aveva parlato, e avevo capito come si scrivevano le mestruazioni. Cosa fossero restava, però, piuttosto misterioso. Read More
Rapp-orto n.2: il peperone del peruviano
In principio furono i rapanelli. E dell’orto primaverile ho già raccontato qui. E di tutte le soddisfazioni che mi ha dato, a me, che prima di allora avevo un pollice color verde killer. Poi è venuta l’estate e hanno trionfato i pomodori e i peperoni.
Fallimenti pochi. Solo le cipolle lunghe rosse sono state realmente una sòla e hanno segnato il passaggio alla stagione autunnale. Ma forse avevo sbagliato qualcosa io.
Ora siamo qui che alleviamo finocchi, spinaci e cime di rapa. E rapanelli ovviamente. I finocchi però sono smilzi assai. Gli spinaci, nonostante il nome incoraggiante (Gigante de envierno), sono poco più di un germoglio. Le cime di rapa aspettano il trapianto. La bieta da taglio ricaccia. Le fragole le ho eliminate a ottobre. Ho provato a seminare le carote ma ancora nulla. I finocchi ci sono ma crescono smilzi e il vento li scuote e ogni tanto li abbatte.
I rapanelli, già, quelli sono tornati al loro posto, al lavoro, in due cassette ben messe. Affidabili come un esperto centromediano metodista.
Per il prossimo anno ho grandi progetti, oh yes. Progetto – udite – l’espansione verticale: scaffali IKEA (i vecchi Peter) che innalzano al sole le cassette con le piante. Sogno piante pensili che discendono dalle finestre superiori. Indago su alberi di mele casalinghi (ce n’è una varietà praticamente priva di rami). Mitizzo una vite americana che ràmpichi sull’intera facciata. Ho persino attaccato bottone con un signore che ha l’orto comunale qui dietro casa. E mi (s)batterò per ottenerne uno appena possibile. (Ma se lo danno solo ai pensionati? Mi pensionerò in anticipo.)
Ma quel che mi rode a me, gente, quel che mi rode è il peperone. Sì perché a metà settembre ho sbaraccato gloriose piante (estive) per far spazio alle carote (mai nate) e ai finocchi (tristanzuoli). Mi sono liberato dunque di 4 piante di peperoni che prevedevo inutili coi primi freddi. E invece no.
Ogni mattina quando esco, ogni qual volta passo davanti al portone, l’occhio mi cade su una piccola aiuola (per altro pubblica) grande non più di uno zerbino, esposta al sole tanto quanto il mio balcone, in cui il vicino peruviano ha messo una pianta di peperoni verdi.
Che sono ancora lì, grossi così.
A metà novembre.
E io rosico.